Per raccontare Aporia, il nuovo album di Sufjan Stevens insieme a Lowell Brams, faccio un salto indietro. Se vi annoiate me lo dite, vero?
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Quegli outro strumentali in Carrie & Lowell
Nel 2015, cinque anni fa, usciva un album destinato a cambiare la nostra vita ma soprattutto quella del suo autore, Sufjan Stevens. Quell’album si chiamava Carrie & Lowell, è stato nominato ovunque tra i migliori lavori dell’ultimo decennio e ha portato Sufjan Stevens a spogliarsi completamente di ogni orpello e artificio tipici delle sue produzioni barocche e orchestrali (Illinois e The Age of Adz su tutte) e a concentrarsi sul piccolo, il nudo e lo scheletrico per rielaborare il lutto di sua madre Carrie, donna complessa dalla vita errabonda e così estranea al figlio. Se gli album prima di Carrie&Lowell erano arazzi colorati e dorati, trapunte spesse di velluto, mantelli fluorescenti, Carrie & Lowell è lo sferruzzo, l’ordito che si forma filo per filo, punto per punto.
In quella riflessione commovente c’era un elemento che mi aveva incuriosito: gli outro strumentali di cinque canzoni (nello specifico: Death with Dignity, Should Have Known Better, Drawn to the Blood, l’omonima Carrie & Lowell e Blue Bucket of Gold). Le code aggiungevano una dimensione ultraterrena, quasi come un passaggio dalla terra al cielo, e stemperavano, rendendolo trascendente, il dolore ineluttabile della perdita. Gli outro presentano degli elementi chiave: cori spettrali, coltri di synth e slide guitar con delay, riverbero e pedale del volume, necessario per dare quell’effetto di pennellata onirica dai bordi impalpabili. Quasi uno spostamento d’aria causato da una presenza altra che fa improvvisamente friccicare i lumi della casa. Illumination.
Quegli outro sono stati sublimati ed elevati a cifra stilistica degli arrangiamenti per il live di Carrie & Lowell: le canzoni folk e minimal hanno iniziato a prendere nuove forme e ad abitare nuovi spazi più grandi, cosmici, ambient. Spazi che Sufjan aveva disseminato ovunque nella sua discografia: da quel Redford (for Yia Yia and Pappou) dall’album Michigan che Suf ha scelto proprio come prologo per i concerti del tour di Carrie & Lowell; passando agli esperimenti di elettronica di Enjoy Your Rabbit (andatevi ad ascoltare Year of Our Lord), ma anche la philippglassiana Out of Egypt contenuta nella pietra miliare Illinois, fino ad arrivare a quel Planetarium, progetto corale insieme a Nico Muhly, Bryce Dessner dei National e il suo fidato batterista James McAlister, che presenta una doppietta clamorosa strumentale con Black Energy e Sun.
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Aporia: tessiture cosmiche e new age
Anno 2020, mese di febbraio. Sufjan Stevens annuncia per fine marzo Aporia, un nuovo album in collaborazione con Lowell Brams. Sì, proprio quel Lowell di Carrie & Lowell, secondo marito di sua madre Carrie per qualche anno, figura fondamentale per la crescita musicale di Sufjan, simbolo paterno, luogo d’amore. È con Lowell che Sufjan fonda nel 1999 l’etichetta Asthmatic Kitty; è grazie a lui che pubblica il primo disco A Sun Came. In occasione del ritiro di Lowell dall’etichetta, Sufjan vuole ringraziarlo con un lavoro a quattro mani.
Con Lowell Sufjan aveva già collaborato per il disco, parecchio sperimentale e ostico, Music for Insomnia, che di Aporia è in qualche modo cugino. Aporia viene descritto nel suo comunicato stampa con un termine molto preciso: un album new age. Questo termine può portare con sé una ventata di stereotipi – la religione cheap, la mindfulness – ma applicato a Sufjan Stevens ha completamente senso. La sua intera discografia è permeata da una fortissima spiritualità (Sufjan è cattolico credente e i suoi genitori erano membri di culti new age), quindi definire il suo nuovo lavoro new age significa solo allargare lo spettro sonoro della sua musica con influenze cosmiche e mistiche, da sempre nelle sue corde. E poi dai, diciamolo: da uno che firma ogni post del suo sito con la frase the world is abundant non mi sarei aspettata nulla di diverso.
Quindi, Aporia. Inizialmente previsto per venerdì 27 marzo, viene pubblicato qualche giorno in anticipo e accompagnato da un’anteprima in streaming su YouTube con tanto di scroscio di commenti live. Un’esperienza collettiva a distanza che assume una valenza ancor più potente durante tempi difficili e momenti di incertezza (aporia, in greco, vuol dire proprio questo: questione irrisolta, strada senza uscita).
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Aporia, tra synth analogici e cose che vanno in pezzi
Aporia è un album quasi interamente strumentale che omaggia le atmosfere rarefatte dei Cocteau Twins di Victorialand, l’incidere minaccioso e marziale di John Carpenter, la musica per piante di Mort Garson, i poli-synth modulari di Vangelis ma anche il prog caldo di Mike Oldfield. Sufjan ha sempre raccontato quanto amasse Ommadawn di Oldfield tanto che in numero di Spin del 2006 definisce questo pezzo “space-travelling music […] I’ve always been interested in stuff that sounded epic and ambitious”; ora una playlist pubblicata proprio da Sufjan rivela come sia stato Lowell a fargli conoscere quel pezzo insieme a tanta musica ambient che Aporia riverbera. Inoltre troviamo riferimenti più recenti a Boards of Canada, Julianna Barwick e Oneohtrix Point Never, tutto un mondo futuristico e caldo.
Aporia è un doppio omaggio. Come scrive Sufjan, “alla bellezza e alla profondità del suono dei synth analogici e a come può evocare sensazioni molto umane”. Allo stesso tempo è un saluto a Lowell e un passaggio di consegne. E ancora è una eco, senza parole e senza tempo, dei giorni che stiamo vivendo. E che, forse, possono essere riassunti nella riflessione della monaca buddista Pema Chodron amata proprio da Sufjan:
Le cose che vanno in pezzi sono una specie di prova e anche una specie di guarigione. Noi pensiamo che il punto sia superare la prova o superare il problema, ma la verità è che le cose non si risolvono per davvero. Si riuniscono e poi cadono a pezzi. Poi si riuniscono nuovamente e nuovamente cadono a pezzi. Funziona così. La guarigione arriva quando si lascia lo spazio perché tutto ciò accada: spazio per il dolore, il sollievo, la sofferenza, la gioia.
Illustrazioni di Giulia Perin