Domani esce per Vulcano il primo disco solista di Alèfe, musicista e sound designer di base a Londra che ha già militato in progetti come Tersø e Mr Everett.
Hidden Chamber è la sua prima creatura che è frutto di un lavoro intenso e lungo almeno cinque anni tra progetti collaterali, traslochi e smanettamenti vari su sample vocali, beat ipnotici e ritmiche ossessive.
Dopo aver ascoltato il singolo Hands, ci prendiamo un altro assaggio da Hidden Chamber dal titolo YMA e chiediamo ad Alèfe di raccontarci qualcosa in più su di sé (tipo anche come ci si sente alla vigilia dell’uscita del primo album).
Ciao Alessio. Descrivi Alèfe nella forma di una bio di Tinder.
Mai usato Tinder, ma credo che andrei per qualcosa tipo:
“Polimorfismo sonoro elettronico per soddisfare tutte le orecchie più esigenti. Ableton, synth e campionatori, ma anche gatti.”
Wow, I would date me.
Le tue composizioni sono influenzate da sonorità algide, nordiche. Quali sono i 3 album che ti hanno spinto a fare musica?
Sono terribile con le classifiche, ma credo che dovendo sceglierne solo tre alla fine sarebbero:
Björk – Medulla
The Knife – Silent Shout
Flying Lotus – Until the quiet comes
Domani uscirà il tuo primo album solista, Hidden Chamber. Raccontaci come hai maturato il progetto e come ti senti alla vigilia di una data così importante.
Hidden Chamber, come credo la maggior parte dei primi lavori solisti, è una collezione di pezzi fatti durante un arco temporale molto ampio. Parliamo di cinque, sei anni. Quando ho cominciato a suonare sono partito da generi molto diversi: classic rock, funk, indie. Una volta trasferitomi da solo in Olanda, ho cominciato a maturare una coscienza artistica per cui ho capito che quello che davvero dovevo fare era la musica che da sempre mi aveva accompagnato nella mia crescita personale. Così ho cominciato a sperimentare su Ableton e da lì non l’ho mai abbandonato.
Alèfe nasce così, ad Amsterdam, dalla costante esposizione alla musica elettronica sperimentale e da club, nel tentativo di giocare sempre sull’orlo di questo delicatissimo balance di stravaganza e casse dritte. Poi c’è la fascinazione per le voci umane, c’è sempre l’elemento del sample vox nei pezzi di Hidden Chamber: non è mai stata una scelta ragionata, semplicemente trovo che infondano anima dentro questi mondi che, a volte, tra bassoni e beat strani possono diventare un po’ freddi. La voce scalda tutto e permette di connettersi su un livello emotivo a questi micro mondi.
La vigilia dell’uscita di un album è sempre strana. Stai per consegnare al mondo questa creatura con cui hai convissuto negli ultimi anni, di cui spesso sei stato insicuro, dubbioso, di cui hai smussato e rifinito all’infinito i contorni per poi trovarti a mettere un punto e decidere che è ora che cammini con le proprie gambe. Ci si sente un po’ così, ma allo stesso tempo è bello pensare che tante persone sentiranno questa cosa che tu conosci a memoria tra poco, per la prima volta in assoluto. Exciting!
La traccia YMA è l’ultimo singolo che anticipa il disco: che momento del viaggio rappresenta per te all’interno di Hidden Chamber?
Più che un viaggio mi piace pensare a Hidden Chamber come a un meccanismo a catena: una sorta di scatola cinese per cui ogni tassello sblocca l’apertura del successivo. In questa sequenza YMA arriva verso la fine, è il penultimo pezzo della combinazione prima dell’uscita -la Wayout- e prepara alla conclusione in grande stile.
La voce apre da subito il portone di una grande sala buia: la immagino come un grande atrio di una maison ottocentesca. Il basso entra prepotente a far tremare le mura e i lampadari di cristallo, tutto sembra dover venire giù da un momento all’altro, ma poi l’apertura orchestrale illumina la sala in tutta la sua splendente magnificenza e conduce una sorta di danza che presto si trasforma in un trap rave. Torna il buio ma è fatto di strobo e fumo, e la sala riprende a tremare più di prima, fino a crollare. Rimangono solo le macerie, da cui si deve passare per raggiungere la via d’uscita.
Ascolta YMA in esclusiva qui sotto: