Scrivo queste parole da persona bianca e privilegiata.
In un momento da cui, auspicabilmente, non si può più tornare indietro, è un nostro dovere informarci. Disimparare, leggere, imparare.
Ascoltare.
Ogni opera d’arte realizzata da una persona nera parla di razzismo sistemico, perché l’esperienza di chiunque sia BIPOC (black and indigenous people of color) è inscindibile da queste strutture di oppressione, esplicite o silenziose che siano.
Questo è particolarmente evidente nel caso degli album di musica black, in cui c’è spazio per articolare opinioni, esprimere tesi e mostrare il cuore.
Un tempo, ciò che i musicisti jazz dovevano mostrare per esibirsi nei locali notturni era un tesserino speciale. Ben presto, questo documento si rivelò un semplice strumento di controllo da parte delle autorità sugli artisti neri: Billie Holiday e Charlie Parker, per citarne due, risentirono delle loro sospensioni in modo irrimediabile.
Oggi non serve un tesserino, ma i Grammy Awards usano (o usavano, fino a qualche giorno fa) il termine “urban” per non contaminare i premi più “bianchi” con la musica da cui gli stessi artisti bianchi traggono ispirazione. C’è ancora strada da fare.
Voglio portare quattro esempi che presentano punti di vista originali e illuminanti sulla vita dei neri in America. Partiamo da qui.