Il 26 giugno è uscito per Garrincha Dischi il nuovo singolo di Gregorio Sanchez, songwriter bolognese di stanza a Milano che in autunno pubblicherà il suo album di debutto.
Dall’altra parte del mondo è il brano che lo anticipa, nonché la sua title track, lil punto da cui tutto è iniziato.
«Mentre la scrivevo neanche me n’ero reso conto; ero in mezzo alla giungla, il mio bagaglio era andato smarrito ed ero rimasto solo con un costume, un uku-lele e per fortuna uno spazzolino da denti. Pensando al perché me ne fossi andato ho cominciato a strimpellare qualche accordo e cantarci sopra in italiano. Con grande sorpresa mi sono reso conto che le parole avevano senso e che dall’altra parte del mondo in realtà c’ero finito io».
Ora che hai ascoltato questa traccia vagabonda e malinconica, scopri le influenze musicali di Gregorio Sanchez in 5 brani
1. Sufjan Stevens – Death with dignity
Il primo brano di un disco capolavoro. In questo pezzo ci sono gli arpeggi di chitarra sovrapposti con cui sono cresciuto, quelli di King Crimson, American football, Don Caballero ed altri. Sufjan li ha presi, addomesticati e li ha resi una cornice a una melodia che ha la dolcezza e l’inquietudine di Nick Drake. Al minuto 0.59 con un filo di voce sale di sorpresa, ti prende per la gola e ti solleva con la forza di un buttafuori.
Dello stesso disco adoro Eugene che anche se si concludesse al minuto 0.13 avrebbe già detto più di quanto molti riescono a dire in un disco intero.
Grazie a Sufjan, tra le altre cose, per averci liberato dal pesante fardello dei ritornelli.
Se qualcuno vi dice che ascoltate musica troppo triste toglietegli il saluto.
2. Lucio Dalla – Treno a Vela
Potrebbe non essere il suo brano più bello ma rappresenta meglio di altri alcuni aspetti che amo particolarmente di Dalla.
Al minuto 1.33 canta “ E poi via, di corsa fino alla ferrovia” su una successione di accordi velocissima e molto anti-discografica, che descrive una corsa disperata in modo ancora più esaustivo delle parole. In breve la musica e il testo si fondono in maniera cinematografica, questa è potenza.
La figura paterna nei testi di Lucio è spesso dissacrata, tra l’eroe e lo stronzo che fugge e abbandona, come Sonny Boy nel parco della luna. Alla fine de “Il treno a vela” questo padre, stremato dalle batoste di un mondo ostile, nel bel mezzo di un racconto cinico, reale e impietoso INFORCA UN BASTONE E VOLA VIA. E’ fantascienza. La stessa fantascienza del telefono che che alle porte dell’ universo suona ogni sera e nessuno risponde.
3. D’Angelo – Back to the Future (part I)
Tra il primo e il secondo disco di D’Angelo sono passati 5 anni, e dal secondo a Black Messiah ne sono passati 15 quindi se la matematica non è un’ opinione il prossimo disco arriverà tra 45 anni, ed è giusto così. é grazie a lui che ho saputo poi apprezzare Frank Ocean, Steve Lacy e quello che adesso viene raggruppato nel macroinsieme del Neo Soul/R&B. Quando ascolto questo brano (come tutto il resto dell’album) mi immagino di essere in una stanza dove c’è un D’Angelo alla chitarra, uno alla batteria e un altro D’Angelo al basso, il mio preferito. Progressivamente compaiono un D’Angelo dopo l’altro, in un crescendo strumentale elegantissimo, e mi ritrovo in una stanza gremita da decine di D’Angelo di ogni dimensione e aspetto, ognuno con il suo strumento e la sua parte, suonate tutte divinamente (non perfettamente). I primi 2 minuti passano così, oscillo ipnotizzato da questo meccanismo complessissimo, frattale, sia sobrio che barocco, per cui 15 anni sono addirittura pochi. Al min 2.30 però il D’angelo al basso, che dall’inizio del pezzo stava suonando la stessa nota, alza la testa e parte con una linea di walking-bass che letteralmente sradica tutta la casa e la mette in movimento.
Vorrei che in riviera si ballasse D’angelo, sarebbero tutti meno sudati e più innamorati.
3. Andy Shauf – The Magician
Ci sono molte cose difficili al mondo, tra queste sicuramente Andy Shauf ne ha scelta una credo irripetibile: fare un concept album che parla di una festa, descrivendone i personaggi e gli stati d’animo e farlo benissimo. The Magician è un riassunto di questo capolavoro fatto di suoni vellutati la cui bellezza mi fa sempre sorridere; dal rullante, alla chitarra, a quei diavolo di suoni composti da fiati-rhodes-archi e chissà cos’altro che davvero per favore Andy facci un tutorial.
é un brano mid-tempo, che va dal mezzo-piano al mezzo-forte, cantato con la mano davanti alla bocca e con un accento a dir poco bizzarro. Eppure riesce ad esprimere un livore e un’energia potentissimi, che salgono fino al climax del min 2.45 quando un filo di chitarra col Fuzz suona il tema con più rabbia di tutte le chitarre metal degli anni 90.
Si può fare casino anche a voce bassa.
4. Dirty Projectors – Two Doves
Detesto gli arrangiamenti didascalici, quelli che dicono all’ascoltatore come ci si deve sentire, qui piangi, qui sei felice, qui sei impaurito… quelli di San Remo per intenderci. In questo brano, gli archi fanno quello che gli pare a loro, svolazzano come degli spiritelli impazziti attorno alla voce, ribellione totale, note stonate, non riattaccano nemmeno a tempo. La chitarra arpeggiata in libertà, pattern che non si ripetono, conclusioni senza la tonica, giri di accordi dispari… eppure ne esce una canzone d’amore dolcissima e orecchiabile.
é difficilissimo scegliere un pezzo rappresentativo del collettivo di David Longstreth, sono un riferimento inarrivabile di originalità, eclettismo e sovvertimento della canzone pop. Vorrei che la musica leggera italiana andasse in questa direzione. Ad esempio, facciamo che la canzone dell’estate è Loose Your Love, loro ultimo singolo? dai..