C’è da ammettere che ora che l’estate è finita, scrivere la parola Costiera fa un certo effetto.
Se poi mettiamo in play Comete, l’ultimo brano dei Costiera, è un attimo che ti prende la malinconia:
“ottobre mi manda sempre in crisi, non so come vestirmi
ci sentiamo divisi fra ‘sti palazzi enormi
c’è un cielo spento come a Milano
ma se chiudo gli occhi vedo Positano”
Ma la magia dei Costiera sta proprio lì, che nonostante il sound nostalgico e il desiderio di evasione, nonostante quel nome così evocativo di paesaggi felici che ora ci sembrano lontani, la loro musica riesce a portarci esattamente in quei posti.
Succede perché quello dei Costiera è un pop sincero fatto di melodie orecchiabili ma soprattutto di racconti che parlano della loro (e della nostra) generazione. Loro sono sinceri anche nel dirci che il marchio del pop un po’ li spaventa, ma questa nuova direzione che la band ha preso dopo il singolo Cane Nero è senza dubbio un passo verso un sound più catchy, più trasversale.
Vuoi chiamarlo pop, vuoi chiamarlo nuovo pop, anche honest pop, ci sta.
Intanto leggiamo cos’hanno da dirci i Costiera mentre ascoltiamo Comete:
Ciao ragazzi, che si dice lì in Costiera ora che l’estate è finita da un po’?
Ciao a voi! Diciamo che se qui la vita, a fine estate, scorre già normalmente più lenta, causa pandemia va davvero in slow motion. Nonostante questo cerchiamo di tenere botta e di inventarci da soli gli stimoli, passiamo tanto tempo in studio, che poi a volte sono le nostre camere tra un distanziamento obbligatorio e l’altro, per lavorare a canzoni nuove e buttare giù idee; nei momenti morti e con un po’ di sole ci fiondiamo al mare anche se è ottobre inoltrato. Come probabilmente tutti, stiamo sperimentando cose nel quotidiano che magari prima facevamo con meno frequenza avendo meno tempo, tipo passeggiare in montagna o giocare a paintball. La verità è che probabilmente il colpo in provincia si percepisce di più che nelle città, perché già normalmente ci sono meno occasioni e adesso sono ridotte a 0. La vita lenta che tutti stanno scoprendo in questo 2020, noi la conosciamo benissimo, è una vita che ci sguazziamo, è stata fonte di ispirazione di molte canzoni sulla monotonia dei campi di provincia.
Noi non ci sentiamo da qualche tempo ma questo non vuol dire che ci siamo persi le cose importanti. A marzo di quest’anno, in un momento difficilissimo per tutti, siete tornati con Cane Nero annunciando l’ingresso in Sony Music Italy. Raccontateci la fotografia più bella di quel momento non proprio bello.
Il 2020 è sicuramente un anno complicato per tutti, soprattutto per il circuito musicale, quindi non abbiamo la pretesa di sentirci più colpiti, però possiamo dire che facciamo parte di quei musicisti che hanno avuto la stessa identica tempistica del covid-19 sulle nuove pubblicazioni, rispetto ad altri che magari erano in pausa scrittura o produzione. Noi quella fase l’avevamo attraversata tutto l’autunno e l’inverno precedente, quindi ribollivamo un po’ per fare uscire cose, c’era anche Sony entrata in squadra, insomma un po’ di novità.
A inizio marzo abbiamo ragionato sull’ipotesi di slittare l’uscita, come hanno fatto molti, anche perché ci sono stati dei problemi pratici, come la produzione del video di Cane Nero che è saltata perché ci siamo trovati improvvisamente in quarantena. Abbiamo deciso di andare dritti e la fortuna non c’ha assistito purtroppo. Il giorno dell’uscita il pezzo è venuto fuori danneggiato, arrivato a metà quasi si bloccava, non c’era audio. Un problema nel caricamento che ancora ci è sconosciuto. Ce ne siamo accorti mentre eravamo in diretta Instagram, le persone ci scrivono per avvisarci. Sono state 24 ore di panico, lì abbiamo vacillato, ci sembrava una sorta di accanimento ingiustificato della malasorte. Nonostante tutto il pezzo è piaciuto molto, e questa è sicuramente la fotografia più bella di quel momento di totale sconforto. Il pubblico ha risposto subito e bene, anche in modo inaspettato, visto il periodo (erano le primissime settimane di lockdown), il problema con l’audio per le prima 24/48. Involontariamente alcune frasi nel testo sembravano scritte apposta per la situazione in cui eravamo “vado a letto che sto bene poi mi sveglio tutto distrutto”, “io non so dove mi trovo, e mi controllo la fronte per sentire sempre se scotto”, anche il testo è stato scritto a novembre 2019, quindi non c’era alcuna volontà di cavalcare l’onda, solo l’ennesima coincidenza con questo momento black, ma che forse in questa circostanza ci è stata d’aiuto.
Comete segna ancora un cambio di direzione nel vostro percorso. Siamo curiosi di sapere come nasce la traccia e cosa vi ha portati a seguire la cometa del pop.
Più che un cambio di direzione, forse è un passo avanti verso quella che potrebbe essere la nostra definizione. Siamo in una fase di evoluzione continua, iniziata già dopo i primi singoli, sappiamo che può sembrare retorico, ma per noi incollarci delle etichette di genere è veramente complesso ed è anche una cosa che difficilmente riusciamo a fare. Siamo sinceri, il marchio “pop” un po’ ci spaventa, non perché lo disprezziamo sia chiaro, ma perché ci sembra comunque semplificativo rispetto a quello che siamo. Probabilmente come termine è giusto nell’accezione in cui le nostre sono produzioni molto trasversali, che prendono una fetta di pubblico potenzialmente ampia. Sono canzoni sicuramente immediate, orecchiabili, come dire non di nicchia; ma i nostri pezzi continuano a raccontare delle storie molto personali, parlano della nostra generazione, di quelle che sono le nostre vite. C’è la malinconia, il desiderio di evasione, il senso di spaesamento tipici dei trentenni oggi ma soprattutto dei trentenni che come noi vivono in provincia e sognano la città. C’è un’attenzione maniacale per gli arrangiamenti, i suoni.
Non sappiamo dire se il nostro sia pop o qualche altra cosa, ma sono pezzi in cui crediamo molto, soprattutto perché profondamente sinceri.
Comete è un pezzo nato dalla necessità di raccontare in qualche modo la fine della post adolescenza. E attraverso la storia di due adolescenti che assaporano la nostalgia di fine estate, rimpiangendo i falò e le corse in motorino, abbiamo cercato di raccontare la nostra, quella di tre trentenni a cui manca preoccuparsi per le cose apparentemente frivole, accendersi per le emozioni più piccole.