Siamo fan di Bais dal minuto 1 del primo singolo Milano che raccontava il rapporto con la città che lo ospita da qualche anno.
Quel pezzo ci aveva catapultati in un sound delizioso e dai bordi ben definiti: impossibile restare indifferenti al richiamo lo-fi à la Mac DeMarco avvolto in chitarre piene di malinconia.
Con Apnea, il primo EP di Bais uscito il 21 ottobre per Sugar Music, scopriamo che il fondale sonoro si è arricchito di colori nuovi in cui viene voglia di tuffarsi ad occhi aperti. Non c’è più solo la deriva lo-fi, ma anche la seduzione dell’R&B e qualche piega pop che va a increspare questo “disco acquatico”.
Non resta che immergerci completamente e scoprire la storia di ciascuna traccia:
1. Vudù
Vudù è l’apriporte dell’EP ed è anche il primo pezzo ad essere stato prodotto. Si porta dietro un’atmosfera un po’ western-psichedelica ed è perfetta come inizio del disco perché è come se rappresentasse il momento prima di tuffarsi, il pre-apnea. Io l’ho sempre vista in bilico tra i Verdena di Endkadenz e Pino Daniele :)
2. Mina
Ho scritto Mina di getto durante una session. È venuta subito fuori la melodia della voce nella strofa e poi nel ritornello. Alcune parole sono rimaste li com’erano uscite all’inizio, altre le ho digerite ed elaborate nelle settimane seguenti. Nella scrittura mi piace tenere sempre un giusto mix tra le idee istintive iniziali ed altre leggermente più ‘pensate’. Ho cercato anche di amalgamare le mie influenze meno italiane (tipo Blood Orange) con una vibe più Battistiana di Anima Latina (che adoro e venero). Per finire, la ciliegina sulla torta ce l’ha messa Giulio Jesi, giovanissimo sassofonista: ricordo che gli avevo detto che mi sarebbe piaciuto un sax selvaggio e scalpitante alla Donny McCaslin, il sassofonista che ha suonato nell’ultimo disco di David Bowie “Blackstar” (nello specifico il pezzo “Tis a pity she was a whore”); è venuto in studio, ha fatto un paio di take e noi siamo rimasti a bocca aperta dalla gioia. Era esattamente quello che mi ero immaginato e che volevo.
3. Alghe ft. Tatum Rush
Bais: Alghe è stata la prima canzone dell’EP a nascere, poco prima dell’inizio della quarantena.
Ci siamo trovati io e Paolo Caruccio (Fractae), il produttore con cui ho prodotto il disco, a fare una session negli studi di Sugar music. Non ci eravamo mai conosciuti prima, è stato tutto nuovo e allo stesso tempo divertente e stimolante per me. Ci siamo ascoltati un po’ di cose che ci piacevano e abbiamo iniziato a buttare giù alcune idee in un flusso molto naturale, senza porci limiti.
È partito tutto da un giretto molto semplice di chitarra su cui poi abbiamo costruito attorno tutto il pezzo. Con la quarantena è andato tutto in stand-by per un po’. Tornati alla libertà, ho deciso di riscrivere alcune parti del testo della canzone mentre ero in vacanza al mare.
Per me ‘Alghe’ è una canzone agrodolce, in bilico tra la leggera amarezza delle strofe e la spensieratezza del sound generale.
Ad un certo punto della stesura della canzone, sentivo che ci sarebbe stato bene un cambio abbastanza drastico, shoccante, magari il subentro di un’altra voce. È così che abbiamo pensato a Tatum Rush. Mi è sempre piaciuto il suo modo di scrivere e creare paesaggi surreali, il suo stile e attitudine.
Così l’ho chiamato una sera di agosto mentre passeggiavo per il centro di Ostuni in Puglia e gli ho spiegato quello che avevo in mente. Il giorno dopo gli ho mandato il pezzo e dopo pochi giorni mi ha inviato il suo trip nel finale della canzone. Che dire, una gran bella ciliegina sulla torta! Mi ha ricordato vagamente i Tame Impala e ho amato la pennellata alla Wes Anderson.
Tatum Rush: Prima di essere stato contattato, di Bais ne ignoravo completamente l’esistenza, ma è piuttosto normale per un eremita esiliato sulla riviera romanda come me.
Eppure qualcosa di familiare l’ho percepito subito, nella musica inedita che mi mandò, testi appesi a un filo d’argento, chitarroni magnetici, uno stile che non mi ricorda quello di nessun altro. Mi telefonò la prima volta mentre ordinavo del sushi a Ginevra ed è possibile che abbia chiesto telepaticamente alla carpa Koi oracolo nell’acquario se fosse una buona idea imbarcarsi in un feat. con questo curioso individuo. Mi piacque subito tutto e individuai il mio spazio in tutto ciò: una parentesi brevissima ma intensa e piena di scenari possibili. Ho pensato alle musiche di Drive tipo di Kanvinski o i College, ho pensato a Luna Rossa di Claudio Villa, ho pensato alle avventure acquatiche di Steve Zissou, ho pensato persino a quei truzzi dei PNL. Non so se la cosa fa più rebus o cruciverba.
4. In Limousine
“In Limousine” penso sia il pezzo più strano che abbia mai scritto. Il tutto è nato appena dopo la quarantena; una sera stavo ascoltando un disco nel mio studio e ad un certo punto ho iniziato a canticchiarci sopra un motivetto (è una cosa che mi piace molto fare): ripetevo sovrappensiero ‘in limousine’ esattamente com’è ora registrato nella mia canzone. Così ho stoppato la musica di sottofondo, ho preso la chitarra e ho fatto il percorso inverso a quello che si fa comunemente, ho tirato fuori gli accordi che meglio si abbinavano alla melodia della voce. Successivamente insieme a Paolo e Francesco Gambarotto ho sviluppato tutto il resto.
Il testo ritrae una situazione surreale. Ci si ritrova in due in una limousine, sfatti all’alba dopo una festa, in silenzio a riflettere e a non parlare. È il pezzo più seduto del disco, forse il più malinconico, lo vedo come una culla che ondeggia nell’acqua. Il ritornello mi ricorda un pò la scena finale di Fight Club.
5. Dove si va (a finire)
è il testamento spirituale dell’EP. L’ho scritta quasi tutta di getto in una notte in quarantena dopo aver visto un documentario su Sam Cooke, forse per questo motiva c’ha questa vibe un pò soul. È il pezzo che sento più nel profondo tra tutti. Parla della cosa che più mi ossessiona da sempre: dove si va a finire quando lasciamo questo mondo. Mi sembrava la canzone perfetta per chiudere il disco.