To be a woman who loves hip hop at times is to be in love with your abuser, twittava la regista Ava Duvernay nel 2015.
Nel passaggio di un testo dall’inglese all’italiano il vantaggio è quello di poter focalizzare tutta l’attenzione sulla componente musicale dei brani. Lo svantaggio, però, è che spesso non ci accorgiamo che ciò di cui si sta parlando è macabro e inquietante, e spesso ha a che fare con la violenza sulle donne.
Non c’è nessuno in camera tua,
tu dormi da sola nel tuo letto.
Ma guarda alla finestra.
C’è lui alla tua finestra.
Il pensiero di aver fatto la doccia e sdraiarsi sul letto per poi girarsi e vedere un tipo che ti spia dalla finestra non è di certo tra i più piacevoli. E forse in italiano non è immediato riconoscere in queste parole il ritornello di una delle nostre canzoni preferite: She, di Tyler, The Creator ft. Frank Ocean.
Poi lo stalker continua:
1,2, sei la ragazza che voglio,
3,4,5,6,7-8 sono le pallottole se dirai di no […]
voglio solo trascinare il tuo corpo senza vita in una foresta
e violentarlo, ma tutto questo solo perché ti amo.
È noto come le fortissime provocazioni dei testi di Tyler, specialmente nella sua prima fase artistica, fossero determinate dalle migliori intenzioni, principalmente quella di sdoganare alcune credenze bigotte tramite lo scandalo. Eppure, in molti casi la linea tra l’ironia e l’incitazione all’odio è così sottile che non si può escludere che certe immagini, raccontate da un idolo come lui, nel tempo possano normalizzarsi nell’immaginario collettivo.
Scavando fin all’origine di tutto, il bersaglio più facile da incolpare è di certo il gangsta rap degli anni ‘90.
Uno studio del sociologo Edward Armstrong dal titolo “Gangsta misogyny” ha evidenziato come The Marshall Mathers di Eminem, la cui tracklist vanta pezzoni del calibro di Stan e The Real Slim Shady, sia composto da lyrics che incitano alla violenza e all’uccisione di donne per il 78%.
Nello stesso contesto, grandi divinità come Dr. Dre, Snoop Dogg, Ice Cube (e la lista potrebbe davvero essere infinita) fomentavano l’oggettificazione dei corpi femminili, specialmente di donne afroamericane e latine, come beni di cui fruire fin quando sono giovani e belli. Basti pensare alla copertina di Doggystyle, con una donna chinata in modo esplicitamente sessualizzato dentro una cuccia per cani.
Fin qui si potrebbe dire che è fondamentale leggere queste lyrics in funzione del contesto socio-economico estremo in cui questo genere è nato e cresciuto. Ma non solo. Spesso, pur di giustificare i nostri artisti preferiti, sono tante le posizioni che difendono queste immagini interpretandole e dando loro un significato altro. Su internet, ad esempio, prolificano gli articoli che vogliono Notorious B.I.G. come un “timido femminista” perché talvolta, nelle sue lyrics sessualmente esplicite, fa riferimento al piacere femminile. Il che è surreale, se si pensa a frasi poco equivocabili come “I see some ladies tonight that should be havin’ my baby” in Big Poppa.
Questi pochi casi basilari, per quanto evidenti, non rendono neanche l’idea di quanto subdola possa essere la presenza di questi temi nelle canzoni che più amiamo e di quanto la mancanza di confidenza con dei testi in un’altra lingua possa permetterci di bypassare delle immagini esplicitamente misogine.
Personaggi all’apparenza innocui come Pharrell alle porte del 2000 hanno pienamente collaborato alla costruzione di un immaginario in cui la presenza di una donna è utile nel momento in cui essa è dolce, magra e bella secondo canoni ben precisi. Per capirlo basta riguardare con occhi diversi i videoclip di brani stupendi come Frontin’, Excuse me miss e Change clothes, per non parlare di Beautiful, in cui Snoop Dogg parla di una “lil cutie lookin like a student” incontrata nelle favelas di Rio.
In tutti questi contesti le donne vengono rappresentate come protagoniste di episodi in cui subiscono le attenzioni e le avances degli uomini senza prendere parte attiva dell’azione. E’ assurdo pensare come nel 2009 Eminem potesse raccontare senza conseguenze il sogno di approcciare una ragazzina di nome Brenda una fredda sera di dicembre in un parco, dicendole “sei il tipo di ragazza che aggredirei e violenterei” in Stay Wide Awake.
Ma se siamo qui è anche per confutare alcune posizioni radicali e infondate che vogliono l’hip hop come un genere unicamente incentrato sulla violenza e sul machismo. Infatti, il conscious rap, focalizzato su temi socio-politici rilevanti e sull’opposizione all’oppressione delle fasce più deboli, trattava temi quali l’emancipazione sessuale femminile e la denuncia della violenza di genere già nei primi anni ’90.
“Who would love a woman, turn around and abuse her?” cantavano A Tribe Called Quest nella traccia Description of a Fool tratta dal loro album di esordio, denunciando come pazzi quegli uomini che per nutrire il proprio ego abusano fisicamente e psicologicamente delle proprie compagne.
Ancora, nel 1993 dei giovanissimi Digable Planets in La Femme Fetal cantavano:
The fascists are some heavy dudes
They don’t really give a damn about life
They just don’t want a woman to control her body
Or have the right to choose […]
Aborting mission should be your volition.
Un paio di anni dopo, poi, vede la luce il singolo U.N.I.T.Y., vessillo principale della battaglia femminile contro i fenomeni di molestia verbale, catcalling e violenza domestica che è valso un Grammy Award a Queen Latifah nel 1995.
Ancora nel 2021 molti dei nostri idoli, tra cui Freddie Gibbs (Made a commitment to both of these women / and never considering both of they feelings – come ammette in Practice) o Westside Gunn (I deserve all this money, I deserve every b**ch – in French Toast), continuano a perpetrare un’immagine della donna sessualizzata e oggettificata.
Ma per fortuna c’è una controparte altrettanto rilevante fatta di artisti che non solo raccontano la forza e la bellezza naturale delle donne, ma ritraggono anche le debolezze e le fragilità degli uomini. Tra tutti, è quasi superfluo ricordare l’invito di Kendrick Lamar a mostrare le smagliature di un corpo vero e senza filtri in Humble. O ancora J. Cole che, in controtendenza con l’ipersessualizzazione razzista della figura dell’uomo afroamericano, in Wet Dreamz raccontava le enormi insicurezze di un adolescente alle prese con la sua prima volta.
Purtroppo, ad oggi una scena musicale paritaria è ancora un’utopia e una rinuncia definitiva all’hip hop misogino costerebbe troppo, per tutti.
Ma ricorda: cercare su Google la traduzione della tua canzone preferita e discutere di questi temi con i tuoi amici è sempre utile e soprattutto è gratis.