C’è stato un momento intorno al 2003 che in tutti i videoclip mainstream che passavano su MTV si vedeva sempre lo stesso tizio. Nel background o come comparsa, questo tipo c’era praticamente sempre e non si capiva chi diavolo fosse. Non ci avremmo impiegato molto per realizzare che non si trattava del Paolini di turno, ma di uno dalle cui labbra pendeva l’industria musicale del momento: stiamo parlando di Pharrell Williams.
Esattamente il 25 luglio di 15 anni fa, Pharrell usciva allo scoperto con il suo album d’esordio dal titolo In My Mind, diventato poi storico per featurings scintillanti come Number One con Kanye West, That Girl con Snoop Dogg e Can I Have It Like That con Gwen Stefani. Con il suo primo primo progetto solista, Skateboy P. non solo dimostrava al mondo le sue qualità da compositore e da rapper di prima linea, ma teneva una lezione frontale che sarebbe stata di enorme influenza sui posteri. Sulla copertina di In My Mind l’avatar di Pharrell indossa una maglia della Billionaire Boys Club, il brand di skate clothing da lui fondato insieme al designer giapponese Nigo, che peraltro si era occupato dell’identità visiva del disco che sarebbe poi diventata iconica e praticamente eterna.
Vorremmo far finta che il polinomio rap + auto-producing + skate + clothing line non ci ricordi Tyler, The Creator, ma è praticamente impossibile visto che Tyler è la prima majorette in ogni occasione in cui si nomini un nome a caso che cominci per Ph. In occasione del decimo anniversario del disco, Tyler aveva pubblicato su IG un post strappalacrime dove, scherzi a parte, Pharrell viene dipinto come la stella polare che nei momenti più complicati della sua adolescenza lo ha portato a continuare ad inseguire il suo sogno fino a raggiungere mille e una meta. Le parole che usa non sono leggere: “Dove sono cresciuto, i ragazzi si bloccano e non riescono ad andare avanti. Prigione, morte, lavoretti inutili, non si cresce mai. […] Io non sono finito in quel ciclone. Se oggi sono un giovane imprenditore è solo perché ho profondamente creduto in ciò che tu dicevi avrei potuto essere. […] Non ho mai avuto fratelli, zii o mio padre con me, quindi grazie per essere la figura maschile attorno alla quale ho sempre gravitato, insegnandomi ad accettare di essere diverso e fidarmi delle mie idee”.
Fa sorridere pensare che Pharrell non abbia neanche superato il mezzo secolo su questa terra e siamo qui a parlarne come se fosse già sui libri di storia. Ma meglio non scherzare su un tipo che da circa 20 anni ha sempre la stessa faccia e non mette su una ruga. Piuttosto, non è possibile chiudere questo elogio al cugino di Timbaland (sì, pare che le loro nonne fossero imparentate) senza parlare di quel giorno in cui Pharrell, all’età di 12 anni incontra un nuovo amichetto. Siamo a Virginia Beach e come ogni settimana P. si reca ad un laboratorio di jazz dove sta imparando a suonare la batteria. È qui che, ignaro del futuro, conosce un ragazzetto della sua età che suona il sassofono: il suo nome era Chad Hugo, la seconda metà di quelli che dal 1990 si sarebbero chiamati The Neptunes. Essi si sarebbero infiltrati senza pietà in qualunque colonna di credits relativa a dischi di enorme successo e, senza esagerare, avrebbero fatto la storia perché buona parte dei singoli commerciali estratti dagli album più mainstream della scena USA anni 2000 porta la loro doppia firma.
Siamo qui riuniti per celebrare il quindicesimo anniversario di In My Mind, l’opera prima di Pharrell Williams.
Ma siamo qui anche per ricostruire una storia che passa dai The Neptunes e attraversa artisti e brani di enorme successo che forse, nella foga del 2000, nemmeno sospettavi c’entrassero con quel tizio in background nei tuoi videoclip preferiti. Da Britney Spears a Justin Timberlake, passando per SWV fino ad arrivare a Camila Cabello, ecco 8 dei tuoi brani preferiti prodotti da Pharrell.