In lingua Zulu, amapiano significa letteralmente “i pianoforti”.
Messa così sembra quasi semplice capire di cosa si tratti: in realtà il genere sudafricano è un mix complesso di musica autoctona ed internazionale, con una storia virale recente ma già ricchissima e un futuro per forza di cose luminoso. Volendo rimanere sul generale possiamo considerarla l’ultima evoluzione dell’afro-house, genere popolarissimo già nei primi anni duemila. Ma questa volta c’è di più: si tratta di un movimento musicale che, come spesso accade in Africa, è sfociato in un vero e proprio fenomeno sociale – proprio durante i lockdown dovuti al coronavirus. “Yanos” è il termine usato da fan e artisti per identificarsi affettuosamente fra loro.
Come scrive Dazed: “nel 2021 l’amapiano non si può definire un genere musicale. Gli Yanos lo definiscono uno stile di vita […] il suono di una nuova generazione di giovani neri in un paese che sfugge non solo alle attuali restrizioni, ma ai fantasmi coloniali e dell’Apartheid. È un suono che ha di gran lunga trasceso il provincialismo di come è fatto e condiviso. Come ogni nuova sottocultura con un ampio seguito online, la musica è complessa, riesce a raggiungere tantissime persone e si presta a diverse interpretazioni”
Le Township sono un fenomeno abbastanza unico di agglomerato urbano. Vere e proprie cittadine (baraccopoli, soprattutto all’inizio) nate durante l’apartheid, all’ombra delle grandi città Sudafricane. La più famosa è sicuramene Soweto, fuori Johannesburg. La funzione dichiarata era quella di raccogliere i lavoratori neri alle porte della città, così che questi potessero entrare durante il giorno a lavorare, ma uscirne prima che facesse buio. Ovviamente ciò voleva dire che la vita notturna e quindi la vitalità e lo sfogo culturale si raccogliessero in questi luoghi quasi inaccessibili ai bianchi. Che questi divenissero vere e proprie incubatrici per innumerevoli generi musicali originali e autoctoni – qui ad esempio si sviluppò il jazz sudafricano, filone che oggi vive una grande rinascita e centralità creativa. Ma soprattutto, con la fine dell’apartheid e l’incremento delle influenze culturali provenienti da fuori, a partire dai primi anni novanta nelle Township e in tutto il Sudafrica si inizia a parlare il linguaggio dell’elettronica.
In particolare è l’house ad invadere il paese, dando vita ad una variante popolarissima ancora oggi, il kwaito, e successivamente al gqom e il bacardi. Generi che a partire dai primi anni novanta accompagnano la liberazione post-apartheid, fornendo una colonna sonora elettrizzante e degli stilemi stilistici che diventeranno una vera e propria sottocultura. Questi generi sono i progenitori diretti dell’amapiano, sviluppatosi prevalentemente nelle Townships attorno a Pretoria e Gauteng. Un genere che attinge però evidentemente anche dai suoni e dalla sensibilità del succitato jazz sudafricano, così come da una generale attitudine più rilassata, quasi lounge. Allo stesso tempo riprende anche quell’aspetto di movimento sociale, connotato da messaggi politici ben definiti seppur non sempre “sistemizzati”, proprio come fu per il kwaito e per la matrice originale di tutto – l’house music statunitense.
C’è una ricetta ben definita che accomuna quasi tutte le produzioni amapiano. Si inizia con batterie infuse di percussioni, di solito fisse sui 113 bpm: un movimento circolare ipnotico che può ricordare l’unione tra riddims caraibici ed elementi folklorici africani. Poi di solito entra un suono semplice in loop, un synth secco, senza fronzoli, breve e spoglio di ogni velleità. Un modo per raddrizzare il ritmo iniziale, insistente e zoppicante. Da lì, a seconda di ispirazioni musicali diverse e gusto del produttore, è un crescendo di suoni e arrangiamenti diversi: l’immancabile pianoforte, strumenti a fiato, ulteriori sintetizzatori. A volte delle voci che giocano a nascondino con il beat, girandoci intorno o accompagnandolo, nascondendocisi dentro o tratteggiando delle linee vocali estremamente accattivanti.
E poi una delle caratteristiche più importanti del genere: la log drum. Una percussione tradizionale dell’Africa occidentale (un tronco cavo con una cassa di risonanza scavata a mano, per produrre ogni volta una nota specifica) ricreata, digitalizzata e distorta, dai producer contemporanei all’interno dei software di produzione e registrazione musicale. Un suono che è allo stesso tempo passato e futuro, analogico e digitale, armonico e ritmico. È usato come una scarica elettrica: il corpo dell’ascoltatore viene investito da questi colpi improvvisi, brevi e pesanti, cui non può rimanere indifferente. Una serie di punti esclamativi ritmici che vanno ad esasperare la capacità di trascinare del brano, spesso lasciando quasi attoniti per la potenza evocativa che emanano. Gli yanos lo chiamano onomatopeicamente il “gong gong” sound.
L’amapiano, nato un po’ in embrione nel 2012, è diventato popolarissimo fuori dal Sudafrica quasi all’improvviso – in coincidenza con l’espandersi della pandemia di coronavirus. Com’è possibile che una musica prevalentemente da ballo, da festa, abbia acquisito una popolarità enorme proprio quando il ballo e il ritrovarsi in gruppi numerosi sono diventate due cose letteralmente illegali? Forse è perché l’amapiano racchiude in sé un elemento malinconico, non immediatamente rintracciabile, ma sempre presente sotto la superficie. Le melodie, il pianoforte spesso blueseggiante, le dilatazioni sonore. C’è una sorta di sospensione nei brani amapiano: ascoltandoli viviamo un eterno presente, in cui la tensione costruita dagli elementi musicali in gioco non esplode mai veramente in maniera risolutiva. Anzi, diventa un lunghissimo crescendo con saltuarie deflagrazioni. La sensazione è quella di essere presi per la collottola, progressivamente alzati da terra e lasciati lì a penzolare nel vuoto. Nell’attesa di un rilascio che, non avvenendo quando e come ce lo aspettiamo, diventa piacere formicolante. Insomma è un orgasmo trattenuto con consapevolezza e volutamente, gioiosamente, rimandato. Questa sospensione musicale deve evidentemente essersi ben sposata a livello globale con quella esistenziale che abbiamo sperimentato nei mesi di chiusure, risuonando in modo ipnotico nelle cuffie e negli impianti di mezzo mondo e supplendo in certe occasioni alle differenze culturali.
Ovviamente non parliamo di musica ambient o depressa. L’elemento ritmico è irresistibile ed i party amapiano sono scatenati; in più il genere si presta ad essere mixato con musiche diverse, facendosi largo nei set più disparati assieme alle hit hip-hop, house, trap, afrobeats e tanto altro. Quella stessa sospensione musicale poi, fa montare così tanto la tensione, che le persone quando sono colpite dal suono dei bassi la rilasciano in modo istintivo e quasi violento. La viralità dell’amapiano è inoltre dovuta anche alla sua presenza social: i produttori, soprattutto nei momenti di chiusura, hanno spesso diffuso il genere attraverso dirette youtube, tiktok, house party infuocati e ben documentati. Ecco ad esempio che il meccanismo delle “challenge”, che ha fatto la fortuna di moltissimi brani afrobeats, si è iniziato ad instaurare anche per il genere sudafricano. Quelle che oggi sono le superstar del genere (e spesso anche i primi pionieri) come Gaba Cannal, Kabza De Small, Kamo Mphela, DJ Vigro Deep, DNB Gogo sono emersi anche grazie a questi meccanismi. Una popolarità così travolgente che nel solo 2021 sono stati fondati gli Amapiano Awards e un magazine dedicato chiamato, ovviamente, “The Yanos”. Tutta questa attenzione, anche e soprattutto internazionale, è grande motivo di orgoglio per i sudafricani e ha iniziato anche a creare “problemi”. Domande su come preservare la paternità di un genere che è ormai finito ad ispirare produzioni nigeriane di afrobeats, ma anche brani hip-hop di artisti americani e non solo. Ma soprattutto che in soli due anni da fenomeno locale si è trasformato nel più grande export musicale (forse culturale) del Sudafrica.
Un piccolo caso è scoppiato con l’uscita di “All Of This”, singolo di Jorja Smith in collaborazione con il produttore ghanese Guilty Beatz. Il brano è stato infatti commercialmente presentato come una produzione amapiano, con la Smith che sui social ha addirittura pubblicato grafiche con lo slogan “Piano to the world” – coniato ed utilizzato con orgoglio dagli yanos. Il pezzo della cantante inglese però non coinvolge alcun artista sudafricano, appropriandosi esplicitamente di un genere musicale – senza rendere altrettanto esplicitamente credito ai suoi creatori. Musicalmente è inoltre abbastanza fiacco, una brutta copia della matrice originale. Come riportato dal magazine OkayAfrica: “L’uscita della canzone ha suscitato indignazione sui social media, con artisti come Cassper Nyovest, DJ Maphorisa e altri che si sono fatti avanti per criticare il campionamento del genere da parte di Smith. Ai sudafricani Jorja Smith sembra essere l’ennesima artista dall’appeal globale che monetizza sul suono indigeno di un paese senza dare credito ai suoi veri creatori.”
Creatori che al contrario sanno muoversi e vendersi molto bene, forti anche della consapevolezza di un passato in cui spesso ai musicisti africani non veniva riconosciuto il credito dovuto. I “veterani” della scena hanno a malapena una quarantina d’anni, le nuove leve sono veri e propri zoomer (come il duo Native Soul, rispettivamente diciotto e diciannove anni) e la presenza femminile è, come per tutta la nuova musica africana, una componente fondamentale e irrinunciabile. Il primo mercato al di fuori del Sudafrica ad interessarsi all’amapiano è stato quello della Nigeria, lo stato africano oggi musicalmente più rilevante a livello globale. Le collaborazioni tra artisti e produttori dei due paesi e soprattutto i primi tentativi di fusione dell’afro-pop e degli afrobeats nigeriani (vedere ad esempio i brani di Rema e Davido nella playlist allegata all’articolo) con l’amapiano, sono stati uno dei ponti fondamentali per l’interesse degli artisti e del pubblico fuori dall’Africa. Il sempre attento Masego ha per esempio commissionato un remix amapiano della sua “Mistery Lady” agli Scorpion Kings, l’influente duo formato da Kabza De Small e Dj Maphorisa. A Londra (ormai sempre più una piccola Lagos europea) radio come NTS e Worldwide FM non si sono lasciate scappare la novità, con speciali palinsesti dedicati, ospitate dei nomi più caldi della scena e addirittura un ottimo album compilation, “Amapiano Now” – curato dalla stessa NTS.
Insomma l’amapiano è arrivato per restare. La sua grammatica musicale, solo apparentemente semplice, si presta ad essere manipolata e inserirsi nei contesti più disparati. I suoi creatori sono giovani e affamati, pronti a difendere la propria creatività e spandersi sempre più a macchia d’olio in tutto il mondo. In un paese ammorbato da continua instabilità politica, alta disoccupazione giovanile e una grande disparità nella distribuzione della ricchezza, la musica offre una via di fuga dalla realtà della vita. Soprattutto per i giovani neri del paese, tutt’oggi la fetta sociale più maltrattata e esposta. L’amapiano non è solo innovazione musicale (per altro tutt’ora in pieno svolgimento), manifestazione di orgoglio e appartenenza; è un vero e proprio strumento di possibile emancipazione economica per gli artisti che lo hanno inventato e lo stanno spingendo verso un riconoscimento sempre più internazionale.
Ecco la playlist per scoprire i nomi dell’amapiano:
Testo a cura di Giulio Pecci.