A Swindle piace costruire mondi. Sono anni che il producer modella da dentro l’universo della musica inglese di matrice R&B, soul, hip-hop, jazz.
Nel suo ultimo disco, THE NEW WORLD, prova a fare l’ennesimo salto di qualità, avvalendosi come sempre di un’eccezionale squadra di collaboratori: Joel Culpepper, Kojey Radical, Joy Crookes, Maverick Sabre, Greentea Peng, Loyle Carner e tanti altri.
“Questo è il motivo per cui sono sulla terra, sono qui per la musica, è la mia vita, è il motivo per cui esisto – ne sono sicuro.”
Lo sguardo furbo di Swindle, al secolo Cameron Palmer, si percepisce anche attraverso lo schermo del computer. Un’espressione divertita, da eterno bambino dispettoso costretto a stare seduto e non in movimento. Pronto però a correre sulle ali della propria creatività, grazie all’aiuto dei numerosi strumenti che ne incorniciano l’inquadratura durante la videochiamata e che sembrano chiamare con insistenza il suo tocco.
“Da bambino ero iperattivo, combinavo spesso casini a scuola. La musica mi ha aiutato ad incanalare quell’energia: mio padre suona la chitarra ed è sempre stato molto incoraggiante con i suoi figli nello studio della musica, abbiamo imparato le basi quando eravamo bambini. Mi sono poi innamorato del pianoforte anche perché quando ho iniziato a fare beat mi sono reso conto di quanto fosse lo strumento fondamentale.”
Ascoltando la sua musica, in particolare lo splendido album No More Normal del 2019 ma anche Peace, Love & Music del 2015, oltre alle produzioni per terzi (da Mahalia e Greentea Peng a Ghetts, Celeste, Kojey Radical e Frisco) è abbastanza facile tracciare le coordinate delle sue ispirazioni “la musica nera ‘tradizionale’, funk, soul, jazz e i nuovi generi inglesi elettronici e underground, jungle, drum and bass, grime, dubstep: crescendo questo è stato il mix che mi ha formato.”
La musicalità di Swindle è esplosiva, erutta in ogni pezzo grazie ad un carico di groove imponente, ottenuto nei modi che meno ti aspetti. Una caratteristica distintiva del suo suono è ad esempio il modo in cui orchestra in modo massiccio archi e fiati. Un fattore che non è accessorio e raramente si trasforma in barocco; piuttosto anche l’elemento orchestrale finisce per far parte dell’arrangiamento ritmico, divenendo parte integrante dei pezzi, spesso sotto forma di lampi improvvisi ed irresistibili, scariche elettriche che fanno muovere il corpo.
“All’inizio usavo un sacco di archi e fiati digitali, li suonavo io con la tastiera. Sono una parte importante di tutta la musica che amo: Quincy Jones, la disco anni settanta, e le colonne sonore di quegli anni, Blaxploitation, Barry White, Stevie Wonder… è la musica con cui sono cresciuto e amo la qualità di quel tipo di suono. Tempo fa quando ho iniziato a preparare gli show dal vivo ho incontrato questo musicista e arrangiatore che si chiama Neil Waters. Lui mi ha aiutato ad eseguire e applicare le idee in modo corretto, abbiamo iniziato a registrare veri fiati a partire dallo scorso album e anche prima, anche con l’arrangiamento degli archi. È stato un processo di apprendimento importante sia per me che per lui, ho imparato tantissimo. Arrivati ad oggi non voglio quasi più produrre qualcosa se non ha il suono degli archi.”
Un esempio che sintetizza bene le varie influenze di Swindle è il brano BLOW YA TRUMPET. L’intro si regge esclusivamente su ottoni ed archi, un andamento scattante ma “classico”, elegante, che ricorda da vicino proprio le produzioni di Quincy Jones per Michael Jackson. Quando il brano si “apre” e compare l’ottimo flow di Knucks, quegli stessi suoni vengono arrangiati in un modo che (grazie anche all’entrata di una cassa distorta e un basso galoppante) ricorda da vicinissimo le prime produzioni grime, un flusso diabolico di code sonore spigolose che si sovrappongono e rincorrono in tutte le direzioni. “Un suono nervoso, aggressivo, prossimo alle movenze tutte scatti di una gang di karateki psicopatici” come ha scritto una volta Valerio Mattioli in merito alla musica del pionere del genere, Wiley. Insomma in un solo pezzo troviamo tutto: il grime, la jungle, il rap, il funk, accenni di soul: Londra e gli Stati Uniti.
A fare da denominatore comune, da campo neutro entro cui tutte queste differenti entità si sono potute incontrare ad armi pari, ovviamente c’è stata proprio la capitale inglese.
“L’Inghilterra e Londra nello specifico (o comunque le grandi città inglesi) sono un melting pot di culture diverse. Io vengo da una famiglia jamaicana. La Jamaica ha importato nel Regno Unito la cultura del sound system, che ci ha poi portato i generi contemporanei. Due giradischi, un microfono ed un impianto, le persone che si radunano intorno, quella è un’influenza caraibica; ma poi hai anche diverse culture europee, asiatiche. Ce ne sono talmente tante e siamo cresciuti tutti insieme, collaborando e facendo musica. Proprio perché sono culture così diverse finiscono per avere risonanza con tantissime persone, in tutto il mondo.”
Lo stuzzico ancora su questo punto. Voglio entrare più in profondità, machete alla mano, in questa giungla di liane culturali inglesi che si incrociano senza sosta. Arriviamo ad un esempio concreto:
“Original Nuttah, il brano di Uk Apache e Shy Fx. Il primo da un background indiano, il secondo caraibico: questo incontro a Londra grazie alla jungle ha prodotto musica che ha viaggiato in tutto il mondo. Sono stato in Italia come dj diverse volte, ho suonato quella canzone nei set e funziona esattamente come funziona a Londra. Mio nonno tra l’altro è italiano, non l’ho mai conosciuto perché è morto prima che nascessi, ma ho sempre pensato di avere una connessione speciale con l’Italia.”
Guardando oltre l’aspetto specificamente musicale, allargando l’orizzonte anche a quello sociale e politico, finiamo a parlare nuovamente del Bel Paese.
“Questa musica esce fuori dall’underground e risuona con diverse classi sociali. Per me un buon esempio è stato quando sono venuto a mettere musica al Leoncavallo di Milano: suonare in un posto come quello ti fa capire che hai davanti persone di un certo tipo. È parlare a persone che dalla musica traggono sollievo, che la usano come strumento di emancipazione, che rinascono attraverso quelle frequenze. Ed è lo stesso in tutto il mondo, dal Giappone al Sud America.”
In quest’ottica quindi che significato ha chiamare il proprio album “Il nuovo mondo”?
“Il vecchio mondo è finito nel 2019. Il nuovo mondo è come decidiamo di rientrare nella vita sociale, è riconoscere la tua forza interiore e quella delle persone con le quali vuoi passare il tuo tempo. Dove decidi di schierati, muovendoti propositivo e forte di quella decisione.” Un’attitudine tra singolarità e pluralità d’intenti che si riscontra chiaramente nella quantità quasi bulimica di collaborazioni presenti nel disco. Ma che, nonostante l’abbondanza, non copre mai l’identità di Swindle e soprattutto non sacrifica la qualità a favore di meri calcoli discografici. “Durante il lockdown, nel momento in cui le cose erano più drammatiche (un sacco di conversazioni sul razzismo che stavano polarizzando la nazione, la perdita di vite umane a causa del covid) era diventato difficile creare. Così non appena c’è stato un primo allentamento delle restrizioni ho deciso che la cosa migliore che potessi fare era prendere e portare lontano tutti quanti, in una specie di vacanza creativa. Ho prenotato lo studio [ndr. gli splendidi “Real World Studios” di Peter Gabriel] per una settimana, ho mandato un messaggio ai miei amici, musicisti e collaboratori preferiti e siamo andati. Le persone che sono sull’album sono quindi persone con cui ho un rapporto organico, vero, con cui parlo direttamente tutto il tempo. Sono i miei amici.”
Tra questi c’è un rapporto che appare veramente speciale, quello con il rapper e artista a tutto tondo Kojey Radical. “Ho conosciuto Kojey per la prima volta in Russia. Io ero lì come dj e lui doveva esibirsi nello stesso locale. Appena abbiamo iniziato a parlare è nata subito una conversazione interessante, abbiamo connesso immediatamente. Due giorni dopo essere tornati dalla Russia ci siamo chiusi in studio e abbiamo fatto insieme “Coming Home”, singolo dal mio “No More Normal”, e a nome suo invece “Water” con il featuring di Mahalia. Così, di getto, sono le prime due cose che abbiamo fatto insieme. Due brani che hanno modellato molto le carriere di entrambi, hanno dato una direzione nuova a tutti e due. Da lì non abbiamo smesso di collaborare.”
I brani che cita Swindle sono effettivamente due momenti chiave, oltre che due vere e proprio hit per il mercato inglese e non solo – Water è finita anche nella colonna sonora di FIFA19. Un rapporto che nasce da un’affinità d’intenti quasi filosofica ma prima di tutto musicale. Gli stili dei due sono veramente complementari e infatti Kojey Radical è il featuring più presente in THE NEW WORLD, così come Swindle è il direttore creativo del prossimo album dell’artista anglo-ghanese.
Per concentrarsi sul suo percorso da produttore un paio di anni fa ha anche deciso di abbandonare una fiorente carriera come dj. Un’attività che l’ha portato in giro per il mondo e gli ha fatto imparare un sacco di cose, poi messe in pratica nelle sue produzioni.
“La carriera da dj ha iniziato ad incasellarmi e mettermi dei paletti; in un certo senso mi sentivo forzato a produrre club music e penso che limitasse le aspettative delle persone nei miei confronti.”
Ma si accende comunque quando gli chiedo cos’è che rende qualcuno un buon dj. La linea di confine tra quest’ultimo e la figura del producer si perde man mano che si addentra nella risposta.
“Penso che la differenza la faccia il capire le persone. Quando vai in giro per il mondo come dj impari in fretta cos’è che fa muovere le persone: se è qualcosa che li sta toccando dentro, di profondo o se invece stanno semplicemente reagendo ad una canzone che conoscono. Quando impari questa cosa, qual’è l’elemento che fa ugualmente ballare le persone in Italia, in Sud Africa o Cina, impari qualcosa sul genere umano. Per me la musica rappresenta questo, trovare questo filo rosso comune, quello che unisce tutti. In questo modo ti basta presentarti davanti ad un pubblico e sapere istintivamente come portarli nel tuo mondo e avere uno scambio gioioso con loro. Ho sempre pensato che non stavo suonando per le persone, ma con le persone, per essere tutti sulla stessa frequenza. È difficile da spiegare a parole, è più una sensazione, che mi ha aiutato moltissimo anche nella scrittura musicale, soprattutto nello scrivere musica complessa ma presentarla in modo leggero, semplice da capire.”
Insomma una sensazione universale. Un modo di intendere la musica che oggi potrebbe sembrare quasi naïf ma che se raccontato da Swindle, con il suo sorriso furbo e gli occhi brillanti, acquisisce si arricchisce di un’onestà intellettuale sostenuta a pieno titolo dalla sua produzione musicale.
“Tutti nel mondo amano il quattro quarti. Quattro colpi per battuta. Lo capiscono tutti. Puoi andare nel mezzo di una giungla e battere dei colpi in quattro quarti, lo capiscono. Perché? Puoi trovare qualcuno che non ha mai visto la tv, ascoltato la radio e cantare un ritmo [ndr. ne improvvisa uno quasi reggaeton] e lo capiranno, magari già lo conoscono. È qualcosa di innato in noi. Parlando in modo più complesso, se studi la discografia degli ultimi cento anni inizi a realizzare la parentela fra cose diverse. Realizzi che c’è uno stampo originario comune a tutta la musica. È un’esperienza interamente umana: è suscitare nelle persone gioia, eccitazione anche tristezza o introspezione. Certe frequenze, certi accordi ci colpiscono in modi specifici. È una scienza.”