Di cosa è fatta la musica di Ibisco?
Di new wave, disagi da urlare e un’oscurità ruvida che ti sfreccia addosso.
Questi gli elementi sostanziali che troviamo in Nowhere Emilia, il primo disco di Filippo Giglio, uscito venerdì per V4V Records. Un album che aspettavamo con non poca curiosità e già dall’uscita del singolo Ragazzi, remixato anche da Populous. Ora che abbiamo tutte le tracce non c’è più alcun dubbio che Ibisco, dai paesaggi annebbiati e frammentari della periferia sia capace di venir fuori a passo sicuro, con una forza emotiva che spinge e lega tutte le sue pulsazioni musicali.
E quali sono invece le parole che fanno da collante al suo linguaggio sonoro? Lo scopriamo insieme, dopo il player.
/ge·o·gra·fì·a/
Quella dei luoghi di appartenenza e della meno visibile mappa dell’esistenza. L’insieme dei punti di partenza e di arrivo, estetizzati da chi li attraversa, da chi ci cresce dentro con inequivocabile slancio poetico. Paesaggi facenti parte dell’essenza del proprio corpo, per osmosi, scambio con le vite di chi, prima di noi, anche pochi secondi prima, li abbia plasmati per sempre.
/de·ṣo·la·zió·ne/
Condensato di decadenza, disillusione, abbandono. La sola condizione possibile. Il segnale di fumo della complicazione, lo switch nell’introspezione, la consapevolezza di una realtà sempre più compromessa dai suoi surrogati.
/pà·ni·co/
Sui viali, la sera, ripensando alla distanza tra presente reale e futuro immaginato, tra ricordi che vorremmo attuali per alterarne i difetti e aspettative che si riveleranno nuovi punti di partenza del nostro essere incapaci di accontentarci.
/pro·vìn·cia/
O come sentirsi eternamente sospesi tra un invidiabile desiderio di riscatto e la paura di non contare, comunque, mai un cazzo.
/o·scu·ri·tà/
Evadere dall’ipocrisia del dogma della felicità. L’orgoglio di complicarsi la vita camminando sulla linea sottile dell’infelicità, guardandola, osservandola con distacco, ma rispettandola quale forza motrice della costante ricerca di se stessi.
/ˈnəʊwɛː/
La parola più invidiata all’inglese. Un buco nero in cui collassa lo spazio per essere restituito come forma della mente, spazio dell’immaginazione, rappresentazione esemplare dello stallo dei doveri e delle imposizioni della civiltà. Ovvero il portale di accesso ai luoghi che esistono in funzione di chi li sa cogliere.
/né·ro/
Il colore delle due parole precedenti.
/tre·pi·da·zió·ne/
L’impossibilità di comunicare a se stessi. Porre in attesa i sogni. Trascurare l’istinto in virtù degli schemi del mercato della vita. Alimentarsi con le riserve più che mai esauribili della propria anima per non dimenticarsi di chi si è e di che cosa si vuole. Un sentimento che concede il sollievo di abbandonare lasciando in eredità preziose certezze sulla propria essenza.
/vi·ṣió·ne/
La capacità di individuare la natura di qualcosa in tutta la sua complessità e di sceglierne il suo miglior percorso nel mondo.
/con·fì·ne/
Da abbattere quando ostacolo alle più sane contaminazioni. Da considerare quando necessario a proteggere le proprie idee dall’inconsapevolezza della presunzione.