“I’ll walk my way towards the light without looking directly into the sun”.
Queste le parole di Neil Armstrong in procinto di approdare sulla luna, che risuonano oniriche in coda a Plastic 100°C. Come in tutte le imprese, gli imprevisti fanno parte del gioco: se Icaro va troppo vicino al sole, le sue ali si sciolgono. E nel 2017 Sampha, travolto e stravolto dalle conseguenze del successo che cominciavano a investirlo, decide che è il caso di allontanarsi dalle collaborazioni con i suoi idoli per chiudere la porta, sedersi al piano e guardarsi dentro per ricapitolare tutto.
È così che, i primi di febbraio di 5 anni fa, veniva alla luce un racconto fitto come la nebbia di Londra e trasparente come il mare della Sierra Leone, dal titolo Process.
Canalizzare il dolore è una cosa che Sampha ha imparato a fare da tempo, più precisamente da quando a 9 anni perde il padre per un cancro ai polmoni. Proprio il padre, qualche anno dopo essersi trasferito a Londra dalla Sierra Leone, aveva deciso di comprare un vecchio pianoforte da un anziano vicino, per evitare che i suoi figli passassero troppo tempo davanti la TV. Comprensibile per un uomo nato e cresciuto in un contesto diametralmente opposto a quello di Londra, contesto che il regista Kahlil Joseph ha magistralmente catturato nello short film Process.
Il film racchiude una sequenza di fotogrammi che raccontano le persone e i luoghi che hanno plasmato le radici di Sampha e della sua famiglia. Il corto è un blend perfetto tra ancestrale e distopico che, in sintonia con le tracce del disco, mostra acqua, terra, cemento e tradizioni. In uno dei frames chiave, qualcuno chiede alla nonna di Sampha: “Chi è l’uomo che hai sposato?”. Lei risponde fiera “Lahai Turay. Non vorrò mai avere un altro uomo”. Della nonna e del nonno Lahai (dal quale ha ereditato il suo secondo nome), Sampha incide fieramente l’immagine nelle corde dell’intero racconto, letteralmente: gli arrangiamenti, infatti, ricorrono in modo preminente a ritmiche scure e complesse, ma soprattutto al suono e ai fraseggi della kora, un antico strumento a 21 corde tipico dell’Africa Occidentale. Questa connotazione è particolarmente evidente nella prima parte della storia, dunque nelle prime tracce del disco, soprattutto in Kora Sings e nella stessa Plastic 100°. Non è un caso che tra le influenze di Sampha ci sia la pioniera afropop Oumou Sangaré, per la quale, sempre nel 2017, ha curato il remix di un brano dal titolo Minata Waraba.
Sì, canalizzare il dolore è una cosa che Sampha ha imparato a fare da tempo, eppure è qualcosa a cui non ci si abitua mai. “Non esiste il processo di elaborazione del dolore. È come un sogno… dal quale non ti svegli mai“, ha detto a The Fader. No one knows me (like the piano) è la canzone che ha suonato durante il funerale della madre, dunque quella a cui è più legato, come riferito dal fratello nello short film di Joseph. E proprio qualche anno prima, durante un’altra intervista Sampha aveva detto: “Ho scritto i miei pezzi migliori quando la vita mi metteva di fronte a grandi stress. La musica per me è una via di fuga dell’anima“.
Il fatto che da cinque anni la sua produzione individuale si sia fermata ci fa sentire un po’ di nostalgia, ma ci fa pensare che forse, se si è preso una pausa dallo scrivere, lo ha fatto perché sta bene.