Allontanarsi dalla musica per farne di migliore. Per LNDFK, all’anagrafe Linda Feki, i due anni di sospensione planetaria dovuti alla pandemia hanno coinciso con un uno iato altrettanto lungo. Una scomparsa dalle scene, un silenzio assordante, anzi “assurdo”, come lo definisce lei stessa. In questi giorni il silenzio è stato interrotto in grande stile, con l’uscita del suo primo album ufficiale, “Kuni”, licenziato da La Tempesta Dischi assieme all’etichetta losangelina Bastard Jazz – culla di un suono che è tutto racchiuso nel nome e che è anche una delle definizioni adeguate del percorso della Feki.
Ma quel silenzio non è stato casuale, Linda lo ha cercato e coltivato. “Il disco ho iniziato a scriverlo più o meno nel 2019. È stato un lavoro veramente importante per me perché prima avevo fatto uscire già un po’ di cose come LNDFK ma in quel periodo riascoltarle non mi soddisfaceva. Sentivo che non avevano una personalità propria, mi sembrava sempre che i pezzi assomigliassero a qualcosa. Da quel momento ho deciso di prendermi una pausa, staccarmi e iniziare a fare ricerca per raggiungere un suono più autentico, sincero.” Il neo soul, il nu-jazz, il beatmaking tra l’astratto e il lo-fi. Questi sono sempre stati gli ingredienti della sua musica, a partire dall’esordio nel 2016 con l’EP “Lust Blue”. Un orizzonte sonoro affollatissimo negli ultimi anni (non proprio qui da noi, chiaro) e pieno di proposte interessanti. Facile quindi perdersi nella giungla di uscite, negli stimoli più disparati o nell’esterofilia fine a se stessa.
Per salvarsi da tutto ciò Linda ha fatto inversione ad U. “Prima cercavo sempre l’ispirazione nella musica. In questo disco c’è stato un cambio drastico: ho lasciato che mi ispirasse l’arte in generale, sopratutto quella figurativa astratta, il cinema, la poesia. È molto più connesso a immagini, alle emozioni che provavo in risposta a queste, più che a un suono. Ho preso quelle emozioni e poi le ho trasformate in suoni. Credo che questo mi abbia consentito di raggiungere un’identità sonora più personale.” Al punto tale che è proprio un film ad essere responsabile dell’impianto generale dell’album, oltre che della scelta tematica. “Il punto di svolta c’è stato con la visione del film Hana-bi di Takeshi Kitano. Da lì è come se si fossero connesse le tracce che stavo scrivendo, mi è nato tutto il concept. Quel film è una riflessione dicotomica su vita e morte e quindi ho deciso di direzionare il disco su un concept simile, eros e thanatos.” Lavorare su un terreno vergine comune, lontano dalle ispirazioni strettamente musicali, ha anche rinsaldato il rapporto con il producer Dario Bass, con il quale l’artista italo-tunisina collabora fin dagli inizi. “Io e lui ci siamo conosciuti nel 2013, siamo cresciuti insieme e ci siamo influenzati moltissimo umanamente ed artisticamente. Per dire, il film di Kitano lo abbiamo visto insieme. Grazie a questa nuova direzione abbiamo anche avuto un approccio più libero, non ci interessava fare un pezzo che assomigliasse a qualcosa di già esistente. Io ho cercato di essere più sincera possibile, di scrivere delle cose intime che non avrei mai pensato di pubblicare.”
L’esempio più esplicito di questo candore, di questa lucida mancanza di pudore che si trasforma in strategia narrativa è il brano “Ku”, di cui Linda ha raccontato la storia già sul suo profilo Instagram
Come tradurre il mondo onirico in grammatica, materia musicale? “Quando sono andata in studio da Dario non sapevo come comunicare tutta quella roba e quindi prima ho disegnato una sorta di fumetto, in cui c’erano varie linee. Gli ho proposto di seguire i segni grafici, proprio progressivamente nella composizione del beat. Per dire, nel brano c’è un momento in cui ci sono molti stacchi secchi; a quello nella mia storia corrisponde il momento in cui c’è il combattimento con le katane.” Il leitmotiv dell’immaginario giapponese accompagna il disco in lungo e largo (“è un mondo che già mi piaceva prima ma che durante la gestazione del disco si è sovrapposto al momento di rottura che raccontavo prima, al mio approccio all’arte in generale”) e arriva a contaminare anche i featuring del disco, uno dei punti di forza del lavoro. Troviamo infatti un bel mix di nomi anche abbastanza noti ma mai fini a se stessi, evidentemente scelti in modo funzionale all’album da un punto di vista organico, musicale. “Ci tenevo che fossero collaborazioni autentiche. Il fatto che siano quasi tutti americani è fico, ma è dettato veramente dal tipo di vibe che stavamo cercando. Intercettare Pink Siifu è stato un caso, lo abbiamo contattato perché ci piaceva, subito prima che diventasse uno dei rapper più fichi del momento. Asa-Chang ha uno stile veramente unico al mondo, connette la voce e le tabla costruendo delle poliritmie pazzesche. Non pensavo che sarebbe stato contattabile e che addirittura avrebbe accettato. Sono contentissima anche del featuring di Jason Lindner, tastierista pazzesco che ha suonato su “Black Star” di Bowie per dirne una. È un musicista che sta in tutte le scene che amo: è un pianista di jazz moderno, ma poi fa anche elettronica e via dicendo.”
Un’etichetta americana, la totalità dei featuring stranieri, l’immaginario giapponese e la lingua inglese. Ma che ci sta a fare LNDFK in Italia? “faccio anche produzione per altri artisti ma ho veramente un sacco di difficoltà effettivamente a produrre cose che mi piacciono per altri qui in Italia. Mi è proprio impossibile, non c’è quella richiesta. La cosa fica invece è che ai rapper e i musicisti di là questo sound è familiare, si prendono bene sulle mie produzioni, per me è bellissimo.” Negli ultimissimi anni in realtà sembra smuoversi anche qui quell’orizzonte jazz-hop, certo con grande ritardo rispetto agli Stati Uniti, ma anche l’Inghilterra, l’Australia, perfino il Giappone appunto. “Sì anche qui sta succedendo un po’ di più, ma siamo ancora troppo pochi. Artisticamente mi sento molto isolata. Mi è capitato solo una volta di suonare live e di trovare il pubblico giusto per me, nello specifico prima di mndsgn al Biko. Lì è stato incredibile perché c’era proprio il target giusto, la gente capiva tutto quello che facevamo.” È incredibile che Linda citi questo concerto, perché rende l’idea di quanto le cose siano collegate e il mondo sia piccolo. Solo qualche tempo fa parlavo su DLSO con Nicola Guida, tastierista di base a Londra, circa il suo ultimo album in cui ha campionato il compositore Piero Piccioni. Musicista scoperto proprio grazie ad un’intervista che mndsgn ha rilasciato in occasione di quella data al Biko aperta da LNDFK.
Un disco dell’identità fluida e sfuggente, che gioca continuamente a nascondino con i suoi modelli per provare a costruire una cifra stilistica originale. LNDFK ha avuto la lucidità necessaria a sapersi prendere una pausa, mischiare le carte, rischiare anche nello “scomparire” per un tempo lungo per provare ad uscirne migliore. Il risultato è un album che merita più di un ascolto, fatto di arrangiamenti stratificati che spesso non rivelano subito la loro raffinatezza. Un bell’album che è un nuovo punto di partenza per lei, ma che magari può funzionare come volano per il neonato movimento di cui parlavamo prima. Vedremo dove arriverà, nel frattempo ci beiamo le orecchie nella morbilità del suono di LNDFK.