“Prima di comprare una macchina, prendevo la metro e nel frattempo provavo il mio discorso dei Grammys”.
Se jeen-yuhs fosse stato un libro di aforismi di Kanye West, probabilmente la pagina che riporta questa cit. sarebbe una di quelle a cui faresti un grande orecchio, e che andresti a riprendere quando la vita sembra remarti contro in ogni cosa.
Tra l’uscita di Donda 2 su Stem Player, il nuovo videoclip di Eazy oltre il limite del controverso e la baraonda di contenuti convulsamente postati e poi cancellati che hanno coinvolto praticamente tutte le persone a lui care (da Kid Cudi all’ex moglie Kim Kardashian), questo era forse il momento in cui avevamo più bisogno di un po’ di background per schiarirci le idee su Kanye West. Per fortuna ci ha pensato il regista Clarence Simmons Jr., metà dell’immensa coppia creativa di registi meglio nota come Coodie & Chike, che al di fuori del giro di Ye ha diretto videoclip per artisti del calibro di Mos Def, Erykah Badu, Common e Gil Scott-Heron.
Di tutti gli innumerevoli documentari sulle vite di artisti che abbiamo già visto, forse non ne è mai esistito uno la cui intenzione partisse quando l’artista non era ancora un artista. “In tanti si vantano di ciò che hanno, uno ha questo, uno ha quest’altro… ma la gente non capisce che io non ci sono ancora arrivato. Forse sto vivendo il vostro sogno americano, ma sono ancora ben lontano dal vivere il mio”. Sembrano le parole di un pazzo, se si pensa che poco tempo prima Kanye aveva già prodotto metà di The Blueprint di Jay-Z. Eppure, chi ha già visto anche solo la prima delle tre parti della trilogia, sa bene che, nonostante non manchi mai di rinnovare la sua gratitudine per occasioni di quel calibro, l’obiettivo di Kanye era ben lontano dal farsi notare come producer.
Per i corridoi dei diversi studi e delle diverse case discografiche che passano sullo schermo nella prima parte di jeen-yuhs, non si contano i rapper (alcuni dei quali oggi a malapena conosciuti) che con atteggiamento paternalistico prendono Kanye sottobraccio e guardando in camera lo etichettano come “the best producer in the mf game”. Non si contano le orecchie indifferenti a demo come All Falls Down o Jesus Walks, pezzi che oggi ci fanno tremare le ginocchia e che allora non erano nient’altro che dei cd masterizzati ed etichettati a penna. Ma quando le tue barre hanno l’approvazione di Pharrell, o di Mos Def & Talib Kweli esiste davvero qualcosa in grado fermarti dall’inseguire un sogno?
Un’altra componente emerge in modo prepotente dal documentario: il rapporto con Donda. Fino a qualche tempo fa la madre di Ye era per noi una sorta di entità, qualcuno di cui avevamo già sentito parlare e che ci sembrava di conoscere. Avevamo già parlato di questo rapporto in occasione dell’uscita di Donda, ma incontrarla di persona in questo documentario e vedere Kanye ascoltarla, chiederle consigli e adorarla come una divinità, rende finalmente chiaro come sia stata la perdita della sua migliore amica, in combinazione con la gestione di una fama incontrollabile, a portare al brutale passaggio dall’Old Kanye al New Kanye.
Il terzo e ultimo episodio della trilogia in questo senso riesce ancora a raccontare molto, nonostante la mancanza quasi completa di footage originale provocata dalla brusca separazione che a un certo punto la fama improvvisa aveva causato tra Coodie e Kanye. La ricongiunzione finale tra i due offre comunque del materiale interessante, perché è qui che Ye scombina ancora una volta le carte in tavola con una serie di statements pubblici e di azioni (tra cui lo schieramento con Donald Trump) che trasformano in un pugno di sabbia l’intero quadro completo che pensavamo di aver costruito fino a un’ora prima della fine del documentario.
In tutto questo, però, una risposta davvero esaustiva Kanye ce l’ha data quando a Hollywood, subito dopo la conclusione della première del documentario, Coodie lo ha chiamato sul palco per ringraziarlo e per chiedergli “per favore” di dire due parole di commento al progetto che li aveva visti, volenti o nolenti, coinvolti per circa 21 anni.
In risposta alla richiesta dell’amico di una vita, incappucciato e con voce sommessa, Ye sussurra al microfono: “Quando mi vedete fare delle cose inaspettate e vorreste che mi facessi indietro come uno qualunque, quella non è la mia posizione. La mia posizione è fare tutto ciò che voi considerate come errori in pubblico, per dimostrarvi che non esiste nessun confine, nessun muro [tra me e voi]. Time is now“.