“Ero davvero arrabbiato. È stato un paio di settimane dopo che avevamo rotto. Mi ricordo che ero frustrato con il tipo, perché mi aveva ridato indietro delle ceramiche che avevo fatto per lui. Sono andato in studio frustrato, e la prima cosa che ho fatto è stata mettermi sul mio Moog Sub 37”. Ad eccezione delle ultime tre parole, questo messaggio potrebbe esserci stato scritto da un amico in crisi nera dopo una rottura importante. E in effetti è più meno così, solo che in questo caso il nostro amico è Steve Lacy, che con queste parole qualche giorno fa raccontava la fine della storia che lo ha portato al suo secondo album, Gemini Rights.
Qualche tempo fa su Instagram ci stupivamo di quante delle nostre tracce preferite siano prodotte da Steve Lacy, il quale ha messo le mani nella pasta di capolavori come Damn di Kendrick Lamar, When I Get Home di Solange e Father of the Bride dei Vampire Weekend. E proprio questi ultimi, con i quali aveva collaborato anche in un featuring su Sunflower, vengono citati da Steve come una delle principali influenze che hanno portato questo disco a un’evoluzione sonora importante rispetto ai suoi lavori precedenti.
Gemini Rights è il risultato di un importante cambio pagina per l’ex sadboy prodigio dei The Internet, e non solo dal punto di vista sentimentale. Già da un primo ascolto si sente che Steve non è più da solo a costruire le proprie sonorità. Sono infatti la natura collaborativa di questo disco e la partecipazione di artisti come Fousheé, Karriem Riggins, DJ Dahi e Matt Martians che permettono al prodigio di Compton di esplorare una quantità di sfumature che esulano dalla sua solita palette. Sincopi di ritmiche sudamericane, combo di voce e piano solo, sprazzi di autotune e melanconia lo-fi sono solo alcuni dei temi che ricorrono in questo disco, in un misto con immancabili riff rock e quella lineare vocalità indie che sono ormai i marchi di fabbrica di Steve Lacy.
Oltre alle collaborazioni, molto della freschezza e del maggior respiro creativo di questo disco lo ha fatto l’improvvisa volontà, per Steve, di uscire da camera sua (dove aveva registrato Demo e Apollo XXI) ed entrare finalmente in un vero studio. “Quando ho cominciato a lavorare a questo nuovo disco, ero ancora a casa con il mio pc, registrandomi e mixandomi da solo. E mi sono sentito come se mi stessi scontrando con un muro. Non ricordo nemmeno come o perché. Ma mi sono detto ‘Ho voglia di entrare in studio’. Questo mi ha davvero aiutato a concentrarmi e ad eseguire le idee in una maniera totalmente diversa. Avere la possibilità di lavorare in studio con un ingegnere mi ha permesso di focalizzarmi di più sull’essere un artista”, ha detto alla penna di Vulture qualche giorno prima dell’uscita del disco.
In termini di contenuti, poi, Steve non ci lascia soli nemmeno stavolta e tiene fede al tema eterno delle relazioni complicate raccontandoci l’ultimo episodio che lo riguarda direttamente, arricchendolo di nuovi motivi sonori che non fanno altro che aumentare il grado di empatia che abbiamo sempre provato nei confronti dei suoi testi.
“Qualcuno mi ha chiesto se sentissi la pressione di scrivere qualcosa che potesse piacere alle persone”, ha scritto in una nota iPhone che ha pubblicato su Instagram all’uscita del disco. “Forziamo sempre una separazione tra l’artista e le persone. Ma io non sono separato. Io sono le persone, e solo per caso sono anche un artista”.
Ascoltiamo Gemini Rights con il conforto che si prova quando si comincia a scrivere sulla prima pagina di un diario segreto. Forse perché, per parafrasare le sue parole, Steve Lacy è uno di noi, e come tutti noi sa che a volte l’unico rimedio per sentirsi meno soli è cercare riparo nelle esperienze dei nostri artisti preferiti, e ricordarci che anche loro sono persone.