Non è bastato un leak improvviso a due giorni dall’uscita ufficiale. Non è bastato il gioco anticipato di Drake sullo stesso tipo di sonorità. Non sono bastate nemmeno le recenti polemiche di Kelis per demolire l’hype che stiamo ancora cercando di smaltire dal 29 luglio, giorno in cui è venuto finalmente alla luce il settimo album di Beyoncé dal titolo Act I: Renaissance.
Ben otto giorno prima dell’uscita ufficiale di Renaissance avevamo già avuto il privilegio di farci un’idea sull’eterogeneità delle produzioni dando una bella spulciata ai credits che, aderendo a ogni aspettativa, riportano una serie di nomi e di collaborazioni disparate che tantissimo dicono della natura ibrida di questo disco.
A un primo sguardo, infatti, non scappano alcuni nomi altisonanti della scena dance degli ultimi 40 anni, a partire da Nile Rodgers, passando per Grace Jones e Giorgio Moroder, e atterrando incredibilmente su Skrillex. Altre sorprese, invece, riguardano il coinvolgimento di alcuni dei protagonisti principali della scena soul contemporanea, tra cui The Neptunes, Raphael Saadiq, No I.D., Leven Kali, SYD e Patrick Paige II dei The Internet, Sabrina Claudio, e in omaggio alla scena afrobeats anche Tems.
Ma dove ha origine la scelta così radicale di un album totalmente dance? Le liner notes del disco suggeriscono che a ispirare questo settimo diamante della discografia di Bey ci sia una figura ben precisa. Nel booklet, infatti, si trova un selfie a letto con i suoi tre figli affiancato da una foto di sua madre accanto a un uomo apparentemente mai visto. Al tutto segue: “A big thank you to my uncle Jonny. He was my Godmother and the first person to expose me to a lot of the music and culture that serve as inspiration for this album”. Jonny è un cugino di Beyoncé, nipote e migliore amico di Tina Knowles, che ha accompagnato Bey e Solange durante la crescita come se fosse uno zio. Mancato prematuramente a causa di complicazioni di salute, Jonny ha fatto in tempo a educare le sorelle Knowles su tutto ciò che c’è da sapere sulla cultura dance e su quando sia importante celebrare il fatto che gran parte di quella cultura abbia una matrice afroamericana spesso dimenticata. Anche per questo, Beyoncé continua: “Thank you to all of the pioneers who originate culture, to all of the fallen angels whose contributions have gone unrecognized for far too long. This is a celebration for you”.
È richiesta una grande raffinatezza nel cucire il concept di un grande album. Ma è richiesto un gusto ancora maggiore nel riuscire a coordinare musicisti, figure e sonorità così diverse tra loro senza sfociare nell’eclettismo più becero, e Beyoncé e il suo team non potevano non riuscire in questo intento: la gamma temporale di sonorità attraversate nelle 16 tracce è resa omogenea dal blend tra un brano e l’altro, quasi come se un DJ le avesse organizzate in un set dedicato. Inoltre, un paio di scroll rapidi sul sito ufficiale di Queen Bey rende ancor più chiara l’intenzione di omaggiare la diversità anche attraverso l’identità visiva del progetto: gli shooting fotografici che lo accompagnano, infatti, sono tutti estremamente diversi per linguaggio, look, intenzione, colori e ambientazioni.
In occasione dell’uscita del primo singolo, Break My Soul, avevamo tirato un respiro di sollievo dopo i sei anni di attesa trascorsi da Lemonade, e già allora Beyoncé ci aveva messi in guardia sul fatto che Act I: Renaissance giace su un piano di ricerca ben diverso da quello dei suoi ultimi dischi, non solo a livello sonoro ma anche sul piano del racconto. “With all the isolation and injustice over the past year, I think we are all ready to escape, travel, love and laugh again. I feel a renaissance emerging, and I want to be part of nurturing that escape in any way possible”, diceva ad Harper’s Bazaar già nell’agosto 2021.
Insomma, nell’era post-pandemica, Queen Bey non è più la protagonista dei suoi racconti d’amore. Renaissance non parla di lei, ma parla di noi. Oggi Beyoncé è quell’amica che ti vede pres* male in un angolo della pista e allunga una mano per trascinarti sulla dancefloor e farti spillare tutti i mali del mondo una goccia di sudore alla volta.