VESUVIA è un disco di opposti e lo è già dal titolo che declina al femminile un nome che per tradizione millenaria si è fatto appartenere al genere maschile.
Vesuvio, simbolo quiescente da cartolina, e minaccia, violenta e distruttiva.
È da dentro a questo cratere che la nuova forza creativa di Meg ha preso a ribollire, accumulando, come in una camera magmatica, tutto il silenzio di questi anni, misto alla paura e al desiderio di venir fuori.
Così nella notte del 30 settembre è esplosa, consegnandoci una creatura forte e fragile, figlia di un’energia oscura, viscerale ma anche di un calore rassicurante, domestico e mediterraneo.
Potremmo andare avanti per dicotomie, descrivendo VESUVIA come un disco popolato da ritmiche concrete e melodie eteree, o ancora da momenti scuri, dove sintetizzatori e batterie elettroniche distorte costruiscono scenari apocalittici, e all’opposto momenti alleggeriti da un’euforia contagiosa e irruente. Ma la dualità più bella di questo disco, a mio avviso, è quella che alla fine ci riporta all’unicità, raccontandoci una nuova Meg, mano nella mano con la vecchia Meg. Senza fratture, ma in un flusso unico che scorre da trent’anni, arricchito di nuovi e pulsanti linguaggi.
Quella che segue è una chiacchierata con Meg dalla A alla Z sul suo ultimo disco. Una domanda per ogni lettera dell’alfabeto.
Arco e frecce, dove puntiamo?
Puntiamo dritto davanti a noi, per viaggiare veloci – oltre ogni bigottismo, misoginia, razzismo – con la nostra mente: non dimentichiamo mai che lei è più forte di qualsiasi regime o algoritmo che ci vorrebbe assopiti e passivi.
B come il Brano del disco a cui sei più legata e perché.
Non c’è un brano preferito in assoluto, ma Scusa se sono felice è sicuramente uno tra i preferiti. Parla del diritto inalienabile ad essere felici in un mondo che va a rotoli.
Cinque immagini che Vesuvia ti suggerisce.
Pentagrammi di lava.
Amici danzano dentro a un cratere.
Terra fertile come nessuna al mondo.
Una ragazza che sogna.
Opposti che si completano.
D come Dischi. Cosa hai ascoltato durante il processo creativo?
Flume, Koreless, Mura Masa, Travis Scott, Lorenzo Senni…
Eterno ritorno dei ‘90. In un ciclico corso musicale che spesso torna dove tu hai iniziato, che tipo di percorso ti ha allontanato dal rischio di ripeterti?
È vero: i 90s non sono mai tramontati. Sono stati talmente dirompenti e rivoluzionari che ancora oggi sono innovativi e dettano canoni. Io mi ci sono trovata dentro molto a mio agio perché ho sempre amato generi musicali diversi. La musica elettronica ti dà la possibilità di non ripeterti proprio perché è l’emblema della caduta dei recinti musicali.
Featurings. Nel tuo nuovo lavoro c’è un magma denso di collaborazioni. Come hai scelto gli artisti e le artiste dei feat?
Li ho scelti in base ad affinità complementari: Katia (Labèque, n.d.r) ama sperimentare tra i più diversi ambiti musicali nonostante la sua profonda radice classica; NZIRIA ha una voce di lava ed ama produrre i suoi pezzi come me; i ragazzi dei Thru Collected sono un po’ me se avessi 20 anni oggi, sono liberi e anche per loro, le barriere musicali non esistono; Emma (Marrone, n.d.r.) è una donna tosta e sanguigna, ho molto apprezzato il suo schierarsi per il salvataggio dei migranti in mare, Elisa è più eterea e poetica e si batte per la salvaguardia del nostro ecosistema: mi piaceva molto che le nostre tre voci, così diverse tra loro, potessero cantare un pezzo corale sulla sorellanza.
G come “Grazie”, traccia di chiusura del disco. A chi è dedicata?
Grazie è dedicata al mio pubblico. Dopo quasi 30 anni c’è ancora chi aspetta pazientemente i miei dischi: non posso che sentirmi grata.
Here Comes The Sun. Da beatlesiana, qual è stata la traccia più illuminante per te?
Oh cavolo. Sono in crisi. Allora. I miei da piccola mi regalarono il libro dei testi dei Beatles con la traduzione a fronte. In quel momento scoprii il significato di quelle bellissime canzoni. The fool on the hill forse è stata una di quelle che mi colpì di più. Empatizzai molto con The fool, e senza accorgermene forse cominciavo ad elaborare il mio sentirmi un po’ costantemente un pesce fuor d’acqua.
Inglese / napoletano. “She’s Calling Me” le contiene entrambe. Come nasce il brano?
Quando rappavo mi veniva naturale switchare dal napoletano all’inglese: metricamente sono molto vicini.
She’s calling me era nata tutta in inglese. È un pezzo che parla del richiamo della musica al quale non si può sfuggire.
Daniele Frenetico mi chiese se riuscivo a farne una versione in italiano. Assolutamente non riuscii. Dopo mesi, il giorno stesso in cui dovevo registrare la voce def da Francesco Fugazza, in treno a soccorrermi è arrivato il napoletano. Come avevo fatto a non pensarci prima? In 5 minuti ho letteralmente tradotto la strofa. Ho voluto lasciare entrambe le lingue perché mi sembrava molto naturale la loro coesistenza.
J come Juke-box. Una canzone che ti piace ballare.
Wanna Be Startin’ Somethin’ di Michael Jackson, soprattutto quando parte “Ma-ma-se, ma-ma-sa, ma-ma-ko-ssa”
Karaoke. Una canzone che canti spesso.
In questo periodo INTOSTREET di LIBERATO
La frase-chiave di Vesuvia.
C’è un fuoco che brucia dentro,
custodito come in un tempio
Meg e Maria. In che modo hanno dialogato e dialogano adesso dopo trent’anni?
Sono sorelle, hanno periodi turbolenti in cui si tengono a distanza, ma imparano molto l’una dall’altra. in questo periodo si vogliono molto bene.
Napolide è un concetto affascinante che Erri De Luca definiva come l’“essersi raschiato dal corpo l’origine, per consegnarsi al mondo”. Qual è, invece, la tua personale interpretazione?
Anch’io mi sono consegnata al mondo, ma Napoli non sono riuscita a scrostarmela di dosso. Anzi forse è proprio l’imprinting di Napoli che mi fa sentire a casa ovunque io vada. Un po’ come quando si dice che se impari a guidare a Napoli dopo ti sembrerà facilissimo guidare in tutto il resto del mondo.
O come Ossigeno. Come sono le tue pause tra una session in studio e l’altra?
Ossigeno per me è dedicarmi alle persone care, ai miei amati gatti, fare la spesa al mercato, cucinare, stare a tavola a lungo, rafforzando i legami con coloro che amo. Ma più di tutto per me ossigeno è un tuffo a mare e viaggiare.
Produzione. Anche su quest’aspetto, il tuo ultimo progetto è ricchissimo. Com’è stato il flusso in questo assetto multi-identitario?
Molti dei pezzi sono arrivati in studio con un livello di produzione mia già molto avanzata (per esempio Non ti nascondere, Scusa se sono felice, Formiche, Aquila); altri sono stati stravolti in studio rispetto agli originali (Solare con i Fugazza, Arco & Frecce con Frenetik). Altri ancora erano delle strumentali che mi hanno fatto ascoltare Frenetik&Orang3 (diventati poi FORTEFRAGILE e NAPOLIDE) e i Fugazza (Principe delle mie tenebre) di cui mi sono innamorata e che poi insieme in studio abbiamo “megghizzato”, portando la prod più verso il mio mondo. Quelli co-prodotti con Tommaso Colliva (grazie, ciglia, scusa se sono felice , formiche) sono quelli che più hanno acquisito elementi suonati: è stata una sua proposta quella di dare un po’ più di calore umano a tutto il mio programming. E quindi per esempio mi ha proposto Daniel Plentz (batteria, percussioni e body percussion) su Formiche e Scusa se sono felice. Oppure ha fatto doppiare la mia linea di basso nei ritornelli di Formiche da un’intera sezione fiati. Mi ha colto di sorpresa invece quando su Scusa se mi ha proposto per i ritornelli una cassa dritta: è stata risolutiva per l’accelerazione del pezzo che invece nelle strofe è tutto sincopato. Per la produzione di She’s calling me invece, abbiamo lavorato a distanza io e David Chalmin, poi in un secondo momento, sia Frenetik che Francesco Fugazza hanno fatto dell’additional production che ha impreziosito il tutto. Lavorare in coproduzione con tante persone diverse è stato complesso ma molto divertente, mega stimolante. Il rischio poteva essere quello di avere un disco troppo poco organico, ma essendoci la mia produzione su ogni pezzo, credo che il risultato finale sia estremamente omogeneo. Infine, Daniele, oltre ai pezzi che abbiamo prodotto assieme, anche lui su ogni singolo brano, ha dato il tocco finale : soprattutto per quanto riguarda il pimp delle batterie (su Ciglia, Principe, Solare…) ed è stato fondamentale. A lui piace sempre estremizzare al massimo le potenzialità delle drums, trarre il meglio da ciò che un determinato bpm ti può offrire, ha un approccio molto dance floor, cosa che desideravo più di ogni altra cosa per VESUVIA: fare in modo che le ritmiche fossero come la terra che trema prima di un’eruzione. Daniele, che è la persona più entusiasta che io conosca, ha totalmente strippato per il titolo e per il concept, tanto da propormi una vocal production ad hoc: in molti pezzi sotto la mia voce portante, all’unisono, c’è un coro di Vesuvie che cantano riempiendo tutti i range vocali possibili e non, come in un rituale sacro.
Insomma avrete capito che il flusso di produzione è stato intenso, molto molto intenso: fiumi diversi di lava che alla fine convergono in un’unica eruzione!
Quello che la musica è per te.
La musica mi ha salvato letteralmente: ero una bambina estremamente silenziosa e timida, tutto succedeva nella mia testa e non riuscivo a tirarlo fuori.
Devo ringraziare i miei genitori che mi hanno proposto di imparare a suonare uno strumento (ed io ho accettato scegliendo il pianoforte) e lì tutto è cambiato. Ho trovato il linguaggio che mi serviva per comunicare ciò che provavo al mondo esterno. È stata una rivelazione. Da allora la musica non mi ha mai più lasciato, anzi è stato un legame indissolubile in crescendo.
Ritornare. Com’è stato tornare in pista e cosa ti era mancato di più?
Ritornare è sempre emozionante. Come ad un luogo caro. O come sul luogo del delitto. Vuole anche dire “restituire”
e “contraccambiare”. Devi volerlo ma accade anche perché un po’ necessario.
Scusami se ti chiedo se sei felice.
Prego prego, anzi. È una felicità distopica. Essere felici in un mondo che va a rotoli è sempre più difficile. Ma io paradossalmente lo sono. Forse è un po’ da Pollyanna, o forse sono solo fortunata, ma …al momento sono viva, sto bene, libera, non vivo sotto un regime (almeno spero!), non vivo sotto bombardamenti…certo nel mio sangue se mi fai le analisi troverai le microplastiche, penso ogni 5 minuti che andiamo verso l’estinzione certa, sono sempre in ansia per la crisi climatica in atto, ma ho il mio disco fuori, tanto amore che mi circonda e questo è un po’ il mio xanax. Sarei un’ingrata verso la vita oggi se non fossi un po’ felice per quello che mi ha regalato.
T come Tempo. Cosa hai imparato dal tempo pandemico?
Ho imparato a gestire una paura nuova, a fare le provviste e scoprendo che sarei un’ottima cambusiera!
Un aneddoto legato al disco che vuoi raccontarci.
Il primo giorno che sono andata in studio dai Fugazza, Daniele era molto in ansia perché sperava ardentemente che mi trovassi bene a lavorare con loro. Mi inondava di messaggi, era talmente preoccupato che a un certo punto è stato d’obbligo fargli uno scherzo. Gli abbiamo fatto credere che era andato tutto storto e lui ha abboccato malamente. Non posso svelare tutti i dettagli ma posso solo dirvi che lo scherzo è durato troppo e dopo gli ho dovuto chiedere scusa… 😄
VESUVIA. Icona e forza imprevedibile. In che modo ti sei sentita trascinare da lei?
È arrivata lei e il disco era pronto. Concentrazione e forza di volontà a mille, un fiume in piena di creatività e apertura mentale. È riuscita a farmi fare tutto quello che voleva lei senza essere dispotica.
W come Wishlist: il vinile che hai sempre voluto possedere.
L’originale di Love me do dei Beatles
X: Meg = Napoli : Maria. Cos’è la X?
La Musica!
YouTube. Il tuo video preferito.
Fate domande molto difficili. Vada per the Rain di Missy, il primo che mi viene in mente. 😄
Zucchero. Un modo di dire napoletano che ti scioglie.
Teng’o’cor’int’o’zuccher’