In 3 minuti e 35 secondi può succedere di tutto. Una giornata dritta può trasformarsi in una giornata storta. Una frase di troppo può demolire una certezza. Può nascere una stella e può crollare un aeroplano.
In 3 minuti e 35 secondi, a soli 14 anni Aaliyah si presentava al mondo con Throw Your Hands Up, prima traccia (se si eccettua la intro) del suo primo disco.
Eppure non basteranno 3 minuti e 35 secondi per farci una ragione di come Aaliyah, che ieri avrebbe compiuto 44 anni, nel brevissimo periodo che ha trascorso nella dimensione terrena sia riuscita a solcare un’intera generazione rimanendo un modello imperituro non solo della vocalità R&B, ma anche dello stile e della street culture USA degli anni ’90.
Una nuova luce sulla scena R&B
È il 1995. Aaliyah ha 12 anni e suo zio, marito di Gladys Knight e fondatore della Blackground Records, le presenta un noto autore e produttore discografico conosciuto come R. Kelly. Il padre di I Believe I Can Fly, da qualche anno tristemente risalito agli onori della cronaca, prende Aaliyah sotto la sua ala protettrice e non passano nemmeno tre anni dal loro incontro che la giovanissima stella esordisce con il suo primo, incredibile disco Age Ain’t Nothing But a Number. In quell’occasione R. Kelly progetta e cuce un album incredibilmente innovativo sulla la voce eterea e vellutata di Aaliyah, che si scontra con delle produzioni a cavallo tra l’Hip Hop, l’R&B e il New Jack Swing, gettando uno dei primi tasselli di un nuovo sound modellato contemporaneamente anche da altre artiste come Janet Jackson, Mary J. Blige, TLC e Tony Braxton, un sound che superava l’immagine tipicamente soul della voce delle donne afroamericane per spingersi oltre.
Ma sarà l’uscita da Blackground Records nel 1996 e l’avvento di due producer iconici a suggellare definitivamente l’identità di Aaliyah per come la conosciamo oggi: Missy Elliott e un allora sconosciuto Timbaland la porteranno infatti alla pubblicazione del suo secondo album, One In A Million, scolpendo per lei un’identità ritmica essenziale e spaziata che arriverà fino al suo terzo e ultimo album, e che a distanza di 27 anni assaporiamo con freschezza ad occhi chiusi come se fosse appena nata. Questa nuova patina metallica, futuristica e ipergalattica è quella che contraddistinguerà anche tutti i visual che accompagnano i singoli pezzi, proiettati in un 2000 dinamico e meccanizzato che paradossalmente veniva continuamente reimmaginato nonostante stesse già accadendo.
Icona di stile oltre la moda
Alla fine degli anni ‘80 molte artiste afroamericane avevano già cominciato a stabilire dei nuovi canoni di sensualità. Eppure, tra quelle che abbiamo già citato, nessuna ha puntato sul branding tanto quanto Aaliyah: dopo una prima fase con Karl Kani, infatti, Aaliyah diventa la musa di Tommy Hilfiger per la linea Tommy Jeans. Non è un caso che uno degli outfit più iconici da lei più indossati segnerà definitivamente l’estetica hip hop anni ’90 diventando uno dei più apprezzati e replicati.
La divagazione è dietro l’angolo, ma l’elemento che fa tornare tutto è una citazione di Drake che, nel dichiarare il suo amore incondizionato e mai nascosto per “Baby Girl” (così veniva chiamata affettuosamente dietro le quinte della industry) diceva: “Quando scelsi di cominciare a mixare il rap con il canto […] avevo già un’identità come rapper, ma avevo bisogno di una reference per la voce cantata. Non volevo suonare troppo come un “uomo”, e ho trovato conforto nella musica di Aaliyah […] e nel suo modo di emozionare mantenendo sempre alta la credibility. Da Aaliyah ho preso la mia tendenza a scrivere testi che non fossero mai troppo ‘gender specific’, ma che fossero sempre più complessi”. Seppur discutibili, queste parole di Drake segnano un prima e un dopo Aaliyah: prima di Aaliyah molte voci R&B soliste erano confinate in melodie struggenti, melismi incontrollati, voce rotta. Dopo Aaliyah anche nell’R&B la fine di una storia d’amore può essere raccontata da melodie pulite, semplici e sussurrate.
Una guida per l’eternità
Spesso affiancata a Left-Eye Lopes delle TLC per il tragico destino che le ha accomunate, la fama di Aaliyah è coronata dalle innumerevoli volte in cui il suo nome è stato omaggiato nei testi dei nostri artisti preferiti. Kendrick Lamar che in Section80 le dedicava un intero hook in Blow My High.
Ma a parte le citazioni letterali che ritroviamo nelle lyrics di tutti i rapper più influenti del 2000, da Jay-Z a Lil Wayne, passando per J Cole e il già citato Drake, l’influenza stilistica di Aaliyah ha qualcosa di etereo e impalpabile, che è possibile percepire tra le righe solo attraverso dei paragoni espliciti. Ascoltando la celeberrima intro di At Your Best, ad esempio, non riesce difficile sentire riecheggiare familiare il falsetto di Solange in pezzi come Beltway e Dreams. O ancora, qualche anno fa su Twitter un fan chiedeva a Tyler, The Creator quale fosse la sua canzone di Aaliyah preferita. Lui rispondeva: “STREET THING! THE ENDING IS SO AWESOME! ‘You can climb the highest mountain’“. Facciamo play e il volo al sound corny R&B di WUSYANAME è praticamente immediato.
"@jnaeiscool: @fucktyler favorite Aaliyah song?" STREET THING! THE ENDING IS SO AWESOME. " you can climb the highest mountain"
— T (@tylerthecreator) April 18, 2015
In 3 minuti e 35 secondi può succedere di tutto. Una giornata storta può trasformarsi in una giornata perfetta. Una frase di troppo può costruire una certezza. Può crollare un aeroplano e può nascere una stella. E oggi celebrare Aaliyah e il tratto breve ma definitivo da lei tracciato sulla cultura ci serve a ricordare ancora una volta quanto il tempo sia relativo.