È il 2023, e quest’anno festeggiamo i 50 anni dalla nascita dell’hip hop, che comunemente si fa coincidere con il celebre “back to school party” organizzato da DJ Kool Herc nel suo appartamento al 1520 di Sedgwick Avenue, nel Bronx nel 1973. A fronte di questa convenzione, necessaria come per ogni culto religioso che si rispetti, ne esistono altre mille che vogliono l’hip hop figlio dell’incontro di congiunzioni astrali diverse. Eppure, non si può parlare di teorie sulla nascita dell’hip hop, e in particolare di quella tecnica vocale che ormai chiamiamo rap, senza nominare uno degli interpreti, scrittori, poeti e attivisti che più hanno influito sulla definizione di questo genere e dell’immaginario che gli ruota attorno.
Viceversa, non si può parlare di Gil Scott-Heron senza riconoscerlo come uno dei padri fondatori del rap per come lo conosciamo oggi. Il suo approccio allo spoken word e al freestyle, infatti, insieme alla connotazione sempre impegnata sul piano socio-politico dei suoi testi, lo hanno portato al fianco dei suoi idoli The Last Poets, a Muhammad Ali e a bluesman d’annata come Joe Hill Louis, e a essere accolto insieme a loro nell’olimpo di quelli che, per puro caso o per spiccata visionarietà, hanno fatto il “rap” prima del rap.
Per raccontare questa storia però vogliamo partire dalla fine. L’ultimo disco di Gil Scott-Heron, infatti, dal titolo I’m New Here, uscito nel 2010, è forse il più rappresentativo dell’intera discografia del poeta di Chicago. Non perché sia il più importante, ma perché è il disco che più di ogni altro incarna la consapevolezza artistica, l’eclettismo e la continua necessità di Heron di stare al passo con il tempo che scorre e con il mondo che cambia. I’m New Here è un come-back-album uscito dopo 16 anni di assenza dalle scene a seguito di diversi problemi con la salute, con la giustizia e con le dipendenze. In totale contrapposizione con lo storico funk-soul che lo aveva contraddistinto, Gil Scott-Heron saluta il pubblico con un album electro-folk introspettivo, malinconico e visionario, che negli anni successivi verrà rilavorato in due incredibili versioni reprise a opera di Jamie XX e Makaya McCraven.
“No matter how far wrong you’ve gone, you can always turn around”, afferma Heron nella title track del disco. Non è mai troppo tardi per ricordarci chi eravamo. Non è mai troppo tardi per imparare dai nostri errori.
Ma per quanto di nobili intenzioni, tentare di raccontare un poeta con giri di parole è sempre un atto sciatto e inadeguato. Per questo, ci accingiamo a ripercorrere la storia di Gil Scott-Heron attraversando tre sample che i nostri artisti preferiti ha fatto propri tenendo così viva, in una nuova forma, la memoria di una delle figure più influenti che la storia dell’hip hop e della black music abbiano mai conosciuto.