Il mondo della musica è univocamente d’accordo su un fatto: J Dilla è il Genio musicale del nostro tempo. Chi conosce il suo nome sa che ogni suono da lui manipolato per produrre era minuzioso, intagliato, perfetto. Ma più di tutti, c’è un suono che durante la sua vita James Yancey ha usato con estrema moderazione, misura e parsimonia: quello della sua voce.
J Dilla era un personaggio notoriamente schivo, riservato, silenzioso. In questa intervista Bilal racconta: “Ogni cosa in camera sua era un oggetto da collezione: i vestiti, le scarpe, tutto nelle scatole, o ancora nelle confezioni… era davvero un precisino. Lui era preciso con la musica così come con le sue cose, era un tipo davvero meticoloso. Forse è per questo che parlava così poco, perché era molto misurato in quello che aveva da dire e in ciò che faceva”.
Su Dilla se ne sono dette e scritte così tante (non da ultimo Dilla Time, la bibbia definitiva sulla sua vita da cui Questlove è già pronto a trarre un documentario) che sembra difficile trovare un angolo inesplorato della sua arte così come della sua vita. Eppure, sebbene sia innegabile che la scienza in cui ha eccelso senza pari è quella delle produzioni, tantissimo di J Dilla possiamo impararlo dalle misurate ma non poche volte in cui ha deciso di affidare il suo messaggio alle parole anziché al campionatore.
Le lyrics di questo pezzo sono così rudi che Dilla si è sentito in dovere di precederle con un disclaimer in cui si dissocia dal suo stesso punto di vista. Fuck The Police fa parte di una compilation postuma, The Diary, composta da pezzi incisi nel 2002 che avrebbero dovuto costituire il primo album rap solista di Dilla. L’uscita di questi pezzi nel 2016 ha fatto storcere il naso ai puristi che l’hanno definita una trovata commerciale, ma considerando che i brani erano leakati già da tempo (alcuni erano addirittura usciti su vinile come singoli), ci godiamo i classic fat beats e le rime di The Diary come documento utile per capire come Dilla sia arrivato da un semplice old school interpolato ai ritmi futuristici e alle rime surreali di Ruff Draft.
In Ruff Draft, così com’era successo in The Diary e come succederà in Champion Sound, le rime di Dilla dipingono il suo alter ego più esplicito, il Dilla from the hood. Karriem Riggins racconta che Dilla era ben consapevole della differenza tra le sue due facce, tanto da chiamare il proprio alter ego con il moniker “n***a man”. Pare addirittura che, a questo proposito, lo stesso Dilla sia rimasto basito quando, all’uscita di Fan-Tas-Tic, Vol. 1, qualcuno aveva paragonato le rime degli Slum Village a quelle degli A Tribe Called Quest. Sulla questione ha commentato durante un’intervista a XXL dicendo: “Non aveva senso che la gente ci mettesse nella stessa categoria. Insomma, devi ascoltare le parole. Noi parlavamo di ‘bitches’, uno dei Native Tongues non avrebbe mai detto roba del genere. Non so come dire… non ha senso perché il pubblico che noi cercavamo di raggiungere erano le persone più vicine a noi. Io stesso giravo per Detroit con normalissima gente del posto. Mica la roba da ‘backpackers’ che la gente faceva uscire in quel periodo”. In altre parole, Dilla non vuole essere paragonato a un conscious rapper solo perché i suoi beats sono posati, morbidi e groovy.
Delle prese di posizione così rigide potrebbero sembrare surreali se pensate in bocca a Dilla per come lo abbiamo sempre conosciuto. E il disturbo è tale che ci viene voglia di rifugiarci nelle soffici sonorità della Slum Village era. Così facciamo un salto indietro nel tempo, ed eccoci al 2000, e più precisamente a Fan-Tas-Tic, Vol. 2. Nel testo di una delle gemme più preziose di questo disco eterno, Climax, Dilla dà voce a passione, desideri e sogni proibiti senza il timore che ci si aspetterebbe da un tipo timido come spesso Jay Dee è stato univocamente dipinto. Ne è la prova questa performance live, dove la verve di Dilla nello sparare a zero le sue barre è praticamente incomparabile.
Non possiamo chiudere questa breve analisi sulla voce di Dilla senza dedicare un piccolo spazio a come anche con il suo cantato egli abbia detto tanto di sé mentre svoltava la cultura incidendo i ritornelli di alcuni dei nostri pezzi preferiti. Anche qui i racconti di coloro che lo hanno sempre circondato ci vengono in soccorso per ricostruire il quadro, e stavolta è Dwele a svelare l’arcano parlando di Think Twice: “Molti pensano che sia io a cantare in quella canzone, ma io suono piano, basso e tromba. Era Dilla che cantava su quel pezzo. Dopo aver scritto la musica, è andato nel booth e quella è stata la prima volta che io abbia mai visto una persona incidere una traccia vocale e fumare nello stesso momento”.
Quando le viene chiesto qual è il pezzo preferito della discografia di suo figlio, anche Ma Dukes non ha dubbi, perché sa che il canto ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione della sensibilità di Dilla: “Amo Think Twice, perché mi ricorda quando Jay era bambino. […] Prima dei cinque anni, i miei bambini sapevano già come cantare jazz classico, armonie a cappella e robe del genere”. Ma Dukes svela così da dove venga l’ispirazione per questo pezzo iconico della discografia di J Dilla: tra i dischi che suonavano in casa Yancey, infatti, ce n’era uno di Donald Byrd con un pezzo intitolato Think Twice, di cui il brano inciso da Dilla, Dwele e i The Roots è praticamente una cover.
Ci raccontano J Dilla come il più grande beatmaker di tutti i tempi, e forse questo ha distolto la nostra attenzione dalle innovazioni che la stessa persona è stata capace di portare anche sul piano vocale, planando con metriche, melodie e backing vocals presi dal jazz e dal soul e traslati in modo innovativo e unico nella dimensione hip hop. Non sono solo i beats di Dilla ad aver dato vita al neo-soul come lo conosciamo: sono anche lo spezzato jazz dei vocal di pezzi come Intro o Jealousy, il velluto del ritornello di Nag Champa di Common, il mantra in loop di Won’t Do o la follia di trasformare il titolo di una strumentale di Four Tet nel ritornello per un remix.
È facile misurare la sregolatezza di un eroe dalle sue gesta più grandi e celebri. Ma per un genio come J Dilla non basta. Oggi sono 49 anni dalla sua nascita, ma non ne basteranno 200 per saziarci del suo talento. Continueremo a cercarlo in ogni singolo suono, non tralasceremo una nota. Perché forse l’unico cliché vero di tutta questa storia è che James Yancey è davvero il Genio musicale del nostro tempo e che tutto ciò che oggi passa dalle nostre orecchie, ieri è passato prima dalle sue.