La settimana scorsa, alla notizia della scomparsa di Bobby Caldwell, la comunità musicale tutta si stringeva in un caloroso abbraccio comunitario. Perché il suo brano più famoso non solo è stata la colonna sonora di moltissime storie d’amore americane, ma ha anche segnato in modo irreversibile la cultura hip hop degli anni ‘90. Questo morbido brano si chiama What You Won’t Do For Love e usciva nel 1978.
Come forse tutte le cose migliori, questa semplice ma preziosissima perla nasce da un problema: Caldwell ha appena finito di registrare il suo primo disco eponimo, ma i produttori gli dicono che non sentono nessun brano di spicco tra quelli da lui registrati (nonostante nella percezione dello stesso Bob la traccia My Flame fosse già una hit). E così, dopo la fatica di ben 8 tracce, Bob Caldwell si chiude di nuovo in studio e in due giorni scrive What You Won’t Do For Love, che a pochi giorni dall’uscita scalerà le classifiche americane alla velocità della luce.
Il successo non sorprende poi così tanto: del resto la TK, ossia la casa discografica con cui Caldwell si trova a uscire con quel primo disco, vanta un pubblico prevalentemente afroamericano, affine alla sonorità R&B / Funk che il disco calca alla perfezione. Tuttavia c’è un piccolo dettaglio: nessuno sa che Bob Caldwell è bianco. I produttori, infatti, hanno fatto di tutto per evitare che questa notizia trapelasse per paura che il pubblico potesse valutare il prodotto come un “fake”: per questa ragione, per la copertina del disco, si decide di fotografare Caldwell in controluce seduto su una panchina con un enorme sole alle spalle.
In realtà questa bizzarra scelta della label può essere considerata un’anomalia, visto che la questione dei cantanti bianchi che cantavano il soul nel 1978 non era di certo una novità. Quasi 15 anni prima, infatti, i Righteous Brothers di Unchained Melody (la canzone “Oh, my love…” di Ghost, per intenderci) avevano già sorpreso un vasto pubblico quando, guardando la copertina, al posto di un cantante della Stax, ci si vedeva presentare questi due damerini pettinati all’indietro in stile rockabilly.
Un giorno un DJ di Philadelphia, per annunciare il brano nella sua black radio, usava la frase “Here’s my blue-eyed soul brothers”, quasi a voler mettere le mani avanti. Da allora in poi, quella branca del soul che derivava la propria identità dal sound di Stax, Motown e altre etichette dai roster prevalentemente afroamericani, ma vedeva protagonisti cantanti bianchi come Tom Jones, Chris Clark e Dusty Springfield, diventerà nota proprio come Blue-Eyed Soul.
Di questa corrente Bob Caldwell è stato uno dei maggiori esponenti, nonché uno dei più amati. Lo dimostra la reazione alla notizia della sua scomparsa dei nostri musicisti preferiti, i quali hanno riempito i nostri feed di messaggi pieni d’amore e di stima nei confronti di questo adorato eppure così umile personaggio. In un post su Instagram, Questlove ha raccontato di quando aveva sentito per la prima volta la bozza del beat di Dilla per The Light di Common. Il brano campionava Open Your Eyes di Caldwell, ma quella prod gli non piace particolarmente, dice a Common che è troppo “normale”, non sente quel marchio alla Dilla. Il beat è troppo dritto, mancano le batterie storte, i pattern scomposti. Eppure è già troppo tardi: Common ha già scritto su quel beat, e il pezzo diventerà uno dei più amati del suo disco Like Water For Chocolate del 2000. L’anno successivo arriva a Questlove la voce che Bob Caldwell ama moltissimo il pezzo, e che spera di incontrare presto lui e il resto dei Soulquarians. Purtroppo quell’incontro non è mai avvenuto, ma questo episodio resta a memoria del fatto che, per il suo tempo, Caldwell è tra gli artisti che hanno avuto l’approccio più sano, costruttivo e visionario al fatto che altri musicisti impiegassero la sua musica per crearne della nuova. Altra testimonianza è il DM che lo stesso Bob mandava a Chance The Rapper poco tempo fa in merito al fatto che il rapper di Chicago volesse utilizzare un suo sample in un brano che ad oggi non è ancora uscito. Alla domanda di Chance “wow, ma sei davvero tu?” Bob risponde: “Sì, sono io. Grazie per aver pensato a me. Sarei onorato se campionassi la mia canzone“.
Raccontare la storia di un musicista così gentile e tanto amato è un dovere non solo per celebrarlo, ma anche per dare i giusti meriti a chi, come Bob Caldwell, ha da subito intuito il potenziale positivo e la risonanza fondamentale che l’uso di un campione può fare e capito che, se usato con i giusti criteri, il sampling ti dà e non ti toglie.
Sfoglia e ripercorri con noi la carriera di Bob Caldwell attraverso i 5 sample più conosciuti e campionati dalla sua discografia.