Qualche tempo fa avevamo dedicato uno spazio alle voci femminili del rap UK. La domanda di apertura era: davvero è ancora necessario scrivere di “scena femminile”? Dopo due anni la risposta (purtroppo) non è cambiata, soprattutto se proviamo a parlare di donne che stanno dietro la consolle.
Il gioco è semplice: prova a nominare on the spot 5 nomi di producer uomini, di qualsiasi genere musicale. Adesso prova a nominarne 5 di donne nello stesso brevissimo tempo. Non sentirti in colpa se il risultato è deludente, purtroppo lo sappiamo già. Ovviamente, già dopo queste poche righe questo discorso si prepone di essere incompleto, perché rimediare con un articolo a decenni di collateralizzazione sarebbe impossibile. Eppure vogliamo comunque gettare un semino e tentare un attimo di tamponare questo torrente in piena dedicando uno spazio salvo alle donne producer che non solo hanno prodotto le proprie tracce, ma che spesso hanno prodotto tracce anche di altrx artistx. Molte di queste artiste le conosci già, ma probabilmente non sai che molte di loro sono state vicino al campionatore non solo di spalle per cantare, o di fronte per dirigere, ma anche dietro per manipolare, lavorare e creare da zero alcune delle nostre tracce preferite.
Partiamo da un assunto che sembrerà banale, ma è giusto puntualizzare: cosa fa un/una producer? Se non si considerano le eccessive settorializzazioni della parola “produttore/produttrice” nella lingua italiana, in inglese la parola producer indica la persona che, in senso lato, guida la direzione artistica dell’esecuzione, influenzando il tenore della performance in studio con i propri suggerimenti, il proprio gusto e la propria sensibilità. In questo caso, la quantità di artiste da citare è davvero infinita, ma proveremo a farne una selezione. Il primo nome in assoluto da fare è sicuramente quello di Solange. Con la sua visione spaziale, architettonica, geometrica e organica del suono, Solange ha guidato la produzione di due degli album più belli degli ultimi anni, dirigendo a mani tese un team d’eccezione fatto di grandi musicisti tra cui Sampha, Chassol, Raphael Saadiq, Devonté Hynes e Earl Sweatshirt. Dai pochi minuti di girato dietro le quinte che abbiamo delle sessioni di A Seat At The Table, il processo creativo di Solange risulta nel modo più naturale e no-filter possibile.
Le artiste per le quali questo tipo di contributo è stato ed è tuttora imprescindibile sono veramente innumerevoli, e percorrono il corso della storia, da Kate Bush a Missy Elliott, passando per Esperanza Spalding e finendo (da un certo punto della sua carriera in poi) a Beyoncé. Tra i nomi più freschi non possiamo non citare Caroline Polachek che con il suo ultimo disco Desire, I Want to Turn Into You, racconta pesantezza e leggerezza pre e post pandemia in un lavoro estremamente personale, in cui risulta producer in tutte e 12 le tracce. Sul suo account Twitter qualche tempo fa, la stessa Caroline aveva pubblicato un video in cui dirigeva i bambini del Trinity College di London per la parte corale del magico brano di chiusura del disco, Billions.
recording the @TrinityBoysChoi in Croydon, London – November 2020 pic.twitter.com/7QoQeq1MM7
— Caroline Polachek (@carolineplz) February 18, 2022
In tutto questo discorso, però, forse la parte che ci interessa di più è quella delle producer che non solo si occupano di direzione artistica (che rimane comunque una parte fondamentale per l’identità di un lavoro discografico), ma che si occupano anche di realizzare materialmente i brani attraverso strumentazione elettronica: insomma, coloro che mettono le mani su campionatori, drum machines, software, ecc. Questa asserzione, dal gusto quasi voyeurista, è purtroppo reale e concreta, perché siamo troppo abituatx a vedere spingere i pulsanti dei pad quasi solo ed esclusivamente a uomini, ed è questo che rende l’idea di una figura femminile producer così lontana, curiosa ed “esotica” nell’accezione più colonialista e negativa del termine. La bella sorpresa è che le producer di cui stiamo per parlare non sono personaggi sconosciuti, anzi: siamo sicurx che le conosci tutte.
Partiamo dai giochi più semplici: Rosalìa non solo è forse la producer più conosciuta al mondo, ma è una tra coloro che ci tengono a ribadire continuamente l’importanza di mettersi davanti alla telecamera e mostrare al mondo che una donna può essere una producer, perché un esempio positivo in questo senso è ancora fortemente necessario. La nostra Motomami aveva infatti mostrato il suo processo creativo su TikTok e sul suo profilo alternativo @holamotomami (che vi avevamo raccontato qui), dimostrando quanto sforzo e allo stesso tempo quante gioie comportasse essere la producer dei propri brani.
Meno di un mese fa Rosalìa ha vinto il premio inaugurale di Billboard come Producer of the Year. Nel suo discorso di accettazione ha detto: “il lavoro di una producer si fa nell’ombra, non è molto divertente… sono 15 ore al giorno per lavorare su un singolo suono. È un lavoro che viene da amore e ossessione ed è per quello che stai chiusa in una stanza minuscola senza finestre cercando il suono perfetto per uno snare mentre gli altri vivono la propria vita. […] Ma in generale nessuno sa mai cosa fa cosa, e questo [premio] vuol dire tanto per me, perché io creo la mia musica, produco la mia musica e scrivo la mia musica. Voglio dedicare questo premio a tutte le donne che diventeranno delle producer, perché non sono la prima e sicuramente non sarò neanche l’ultima”.
Se non ti viene in mente davvero nessun altro nome, potremmo andare avanti all’infinito: PinkPantheress, ad esempio, produce le proprie tracce da sola immersa nella nebbia inglese. È una grande appassionata di sampling e lavora spesso con campioni derivati dalla scena UK garage anni ‘90/’00 (come ha fatto nella sua mega-hit Pain), e poco tempo fa ne ha parlato seduta su un bel divanetto per Rolling Stone con un certo Kaytranada, il quale ha manifestato una grande ammirazione nei confronti del suo stile di produzione e ha collaborato con lei in Do You Miss Me?
La lista è ancora lunga: mancano ancora Bjork, TOKiMONSTA, Keyiaa, Liv.e, Yaeji, Park Hye Jin, Peggy Gou e troppi altri nomi, e noi abbiamo già terminato lo spazio a disposizione. Se ci resta un’ultima riga però è per ricordare che anche la scena italiana pullula di producer donne incredibili, tra cui BLUEM, LNDFK e Joan Thiele per citarne giusto alcune che ci fanno volare.
Vogliamo chiudere questo spazio come lo abbiamo aperto l’ultima volta in occasione del discorso sulle voci UK del rap femminile: se ancora negli anni Venti del 2000 tutti i generi che non siano quello maschile di default sono considerato inferiori in competenze, professionalità e merito, è quanto mai necessario dedicare loro uno spazio salvo in cui l’attenzione si focalizzi sul valore e sulla tecnica, soprattutto in una pratica fortemente polarizzata come quella del producing.