Raccontare la storia di ciò che ha fatto la storia, specialmente nell’underground italiano di qualsiasi categoria, non è mai semplice. Le voci corrono, le leggende si sovrappongono ed è difficile risalire alla verità di come alcune circostanze abbiano composto l’humus per il fiorire delle gemme che hanno segnato la crescita di un genere, oltre che la nostra come persone.
La faccenda si fa ancora più complicata quando parliamo di tutto ciò che ruota alla SxM clique, e in particolare alla figura di Neffa. Le opinioni sul suo conto sono così divisive che solo fonti di prima mano come le rare interviste e i booklet dei dischi possono davvero raccontarci qualcosa su cui abbia senso riflettere. La cesta dei ricordi è ancora aperta, perché abbiamo dovuto ripescare un vecchio numero dello storico Aelle Magazine del 1998 per sapere il motivo per cui 107 elementi si chiama così, per farci dire direttamente da Neffa e Deda del tempo da cosa questo masterpiece si distingua dal suo predecessore Neffa e i Messaggeri della Dopa e soprattutto perché, dopo 25 anni, dovremmo ancora celebrarlo come uno dei pezzi fondamentali di quel puzzle che è la storia del rap originale in italiano.
In questa prolissa e intrigante intervista per Aelle, Neffa dice: “L’idea del titolo dell’album è nata dal mio hard disk, perché, quando avevo finito il mio lavoro, conteneva 101 elementi. Il significato del numero è: 1 = l’unità; 0 = il cerchio, il nulla che è anche il tutto; 7 = il numero del sole (ed è anche il giorno in cui sono nato…). La somma interna (1+0+7) fa 8 = l’infinito”. Una spiegazione piuttosto intricata, ma che si fa più chiara se l’idea di “elemento” si accompagna all’idea di “pezzo”, e dunque di “brano”. Nelle stesse pagine, Neffa racconta l’estrema difficoltà nell’articolare una scaletta per un disco ricco di generi, sfumature e groove molto diversi tra loro. “A livello di composizione del disco […] ho cercato di metterci dentro tutti gli elementi di cui disponevo, provando a raggiungere in varie direzioni i miei confini e provando anche ad andare oltre”.
Nel 1998 c’erano altissime aspettative dietro questo secondo disco di Neffa, che sarebbe sbagliato definire solista visto che la copertina riporta a caratteri cubitali “feat. Deda & Al Castellana”. Il sodalizio con Deda era già bello che consolidato, mentre la scelta della voce ricade su Al Castellana, che con il suo timbro soul era stato rifiutato da diverse etichette per il suo suono “troppo americano”. Un organico così ristretto fa strano rispetto al nutrito panorama di nomi leggendari presenti su Neffa e i Messaggeri, ma il Giovanni Pellino del ’98 ci spiega anche questo: “Durante il tour scorso ho sofferto molto il fatto che non avessimo moltissimi pezzi, perché avevo il disco con troppi ospiti, tant’è vero che con molto dispiacere ho dovuto lasciare alcune persone fuori da questo disco; più che altro non volevo che si ricreasse questa situazione per cui, senza ospiti, io non potessi portare il mio disco in giro. Quindi sono andato da Deda, dicendogli chiaramente di voler fare un disco improntato maggiormente sul nostro asse”. Alcuni nostalgici di SxM e di Messaggeri della Dopa però storcono il naso, e non solo perché la tracklist di 107 Elementi manca di personaggi e posse track di rispetto, ma anche per un’altra ragione: in questo disco si è di molto attutito lo slang.
SxM e Messaggeri della Dopa infatti avevano messo sottosopra il panorama underground per l’uso smodato e incredibilmente on point di termini slang totalmente inventati, ma pescati dalla vita quotidiana della crew. In un documentario sul freestyle, Neffa racconta un aneddoto assurdo su com’era nato l’iconico qui chi c’è. “Quando ancora c’erano Isola Posse All Star era uscito The chronic di Dre, e un pezzo iniziava: ‘Chiggie check / Microphone, check one / Chiggie check / Microphone, check two’. Noi lo sentivamo dalla mattina alla sera. Un giorno eravamo a Mesagne, siamo andati al ristorante, c’era una sedia vuota, arriva sto cameriere e con la stessa intonazione di Dre fa: ‘qui chi c’è?’ E noi ci siamo alzati io, Deda e Gopher e gli abbiamo fatto “’Microphone check one” al cameriere, che ci ha guardati come per dire: questi non stanno bene”. Il chico pisco, il qui chi c’è, la balotta e tutto quel lessico iconico che aveva caratterizzato lo stile di Neffa praticamente si rarefanno insieme alle intenzioni del disco. A differenza del lavoro precedente, infatti, Neffa sa di essere ascoltato da una platea ampia, ha già dimostrato quello che c’era da dimostrare: 107 Elementi è il passo coraggioso in avanti di chi sceglie di non percorrere la strada già battuta per piacere al pubblico consolidato.
Se si eccettua l’EP Chico Pisco del 1999, molti hanno definito 107 Elementi come “il canto del cigno” del vecchio Neffa. Eppure, qui ci sentiamo di dire che non siamo totalmente d’accordo. Dalle sue stesse parole, in diverse occasioni e in diverse fasi della sua carriera, si evince la noncuranza di Pellino nei confronti dell’opinione del pubblico nell’atto della composizione musicale. Chi conosce il Neffa rapper e producer degli anni ’90 conosce anche le enormi critiche nate a posteriori, che lo vogliono “venduto” al sistema pop. La verità è che critiche simili non sono mai state nuove a Neffa, che già nel 1996 era stato coperto di improperi per aver portato Aspettando il sole in TV in un programma ad alto tasso mainstream come Buona Domenica, allora condotto da Fiorello.
Oggi, a 25 anni da un frammento miliare della storia del rap italiano come 107 Elementi, non possiamo che limitarci a riascoltarlo, celebrarlo e ricordarci che in fondo un artista è sempre un essere umano con le sue fragilità e il suo percorso di crescita, e come tale ha il sacrosanto diritto di evolversi, mutare e cambiare idea. Fin quando saremo liberə di riascoltare all’infinito la parte della sua produzione che più amiamo e che ha cresciuto un’intera generazione, le polemiche stanno davvero a zero.