/stu·pó·re/
Questa è la prima parola e lasciate che sia io a scriverla perché mi serve che sia una sensazione precisa a introdurvi la musica dei Crimi.
Era già capitato con il primo album “Luci e Guai” di restare stupiti e impigliati nell’intreccio franco-siculo della band di Julien Lesuisse e adesso è successo di nuovo con “Scuru Cauru“, ma è uno stupore diverso: alla base c’è sempre il fascino nell’ascoltare l’insolito miscuglio di tradizione siciliana e raï algerino ma non è su questo che si adagiano i Crimi, decisi con il secondo disco a proseguire ancor di più nel solco della sperimentazione.
“Scuru Cauru” è un progetto che è fuori dall’immaginazione, eppure riesci a immaginartelo: sebbene l’orecchio resti stordito e sorpreso da un imprevisto scenario sonoro, la mente può seguire perfettamente le immagini che quei suoni stanno costruendo. E allora vediamo una moka che sbotta sul fuoco di una vecchia cucina, un gruppo di anziani che si gode la lentezza di un pomeriggio assolato tra i vicoli del paesino, le cicche ancora accese per strada mentre la sera si spegne e resta solo la luna a guardarle.
Questi e altri viaggi fa fare il nuovo disco dei Crimi che qui ce lo raccontano attraverso alcune parole chiave.
/nè·nia/
Non posso dimenticare l’emozione quando ho sentito le nenie funebri a Palermo, a Pasqua, per come mi hanno stretto il cuore, camminando con i Crimi di notte per le strade della città. Con Cyril Moulas, il chitarrista dei Crimi, abbiamo trascritto qualche nenia funebre per farla suonare all’orchestra d’Annemasse, vicino a Ginevra. L’ultima canzone di Scuru Cauru viene proprio da questo lavoro: “Lu Focu di la Paglia” è infatti un’antica canzone siciliana cantata pure da Rosa Balistreri.
/lìm·bo/
Orfeo e il limbo sono apparsi spesso mentre Scuru Cauru prendeva forma, sempre in modi abbastanza casuali. Abbiamo scoperto l’incredibile Opera di Monteverdi quando siamo andati a registrare nello studio Klein Leberau di Rodolphe Burger, una casa immensa immersa nelle foreste dell’Alsazia, bianche e nere d’inverno. Lo stesso bianco e nero di Limbo, un fantastico videogame con cui ho giocato lo scorso inverno, e poi del film “The Saddest Music in the World”, che trovo incredibile, dove c’è qualcosa di Orfeo, questa canzone che ti salva quando sei perso nelle lacrime.
/stìd·di/
Le stelle, in siciliano. Nella nostra canzone le stelle sono i nostri mozziconi di sigaretta ancora accesi alla fine della notte. Perché le stelle del cielo sono troppo alte, troppo preziose, troppo irreali per noi.
/fìat / /ù·no/
Abbiamo immaginato fin dall’inizio questo disco suonato in una macchina, ma non abbiamo mai pensato a chi l’avrebbe guidata. Però ci siamo immaginati in tanti, dentro questa macchina che attraversa le notti siciliane, incontrando nel buio i suoi abitanti. E poi in questa Fiat Uno c’era una cassetta meravigliosa, Old Rottenhat di Robert Wyatt.
/klæps/
Nel raï l’accento più forte, quello che fa danzare, è quello sul “clap”. Ovvero sul suono più acuto. Concettualmente è al contrario della musica anglosassone, o della techno. A volte così perfettamente al contrario che in realtà sembra la stessa musica vista attraverso uno specchio. Ma il groove così sembra più “affilato” ed è una cosa che con i Crimi abbiamo cercato molto: Bruno Duval e Brice Berrerd, rispettivamente batterista e bassista dei Crimi, hanno fatto davvero un gran lavoro.
E poi, a proposito di “clap”, mi ricordo il concerto incredibile di Turbo Clap Station dei Mazalda accompagnando il cantante di raï Sofiane Saidi.
/kà·os/
La nostra canzone “’U Cantu Scuru” é ispirata al film omonimo dei fratelli Taviani, dove si trova Mal di Luna. Una storia di incubi, nelle montagne siciliane, sotto lo sguardo degli avvoltoi, dove la paura si mescola con la dolcezza.