Non ci stancheremo mai di ripeterlo: raccontare la storia di un genere musicale sarà sempre riduttivo. Del resto, le linee del tempo sono forse il peggior modo per rappresentare il succedersi degli eventi, come se al momento in cui Giulio Cesare moriva per mano di Bruto, tutto il mondo conosciuto fosse fermo lì ad aspettare prima di fare qualsiasi altra mossa.
Ma come sempre per la storia dell’umanità, anche quando lo spazio e il tempo a disposizione non sono sufficienti, è doveroso tentare di fare un quadro dei personaggi che in un dato momento storico si stagliavano tutti insieme sul panorama musicale e lavoravano in balia dell’industria, e a volte del caso, per costruire i sound oggi iconici e intramontabili che ci accompagnano nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia.
E negli ultimi tre anni, di certo il sound più curativo è stato (e continua ad essere) uno, che porta il nome di Italo disco.
La febbre disco in Italia si diffonde nei primissimi anni ’70, quando i primi dischi dei Bee Gees, Donna Summer, Michael Jackson, Chic e di tutta una celebre schiera di musicisti americani cominciavano a suonare nei juke box, sui giradischi e, per i più fortunati, nelle TV di casa.
Proprio la TV sembrerebbe essere stato un dei canali principali attraverso cui la Disco si sarebbe impressa definitivamente nella mente degli italiani. Nel 1979, ad esempio, Pippo Baudo conduceva al fianco di Tina Turner il varietà Luna Park, dove una giovanissima Heather Parisi debuttava ballando su Anche Noi, sigla di apertura del programma scritta per l’occasione dalla band genovese New Trolls.
In realtà le sonorità del funk elettronico dance in italiano viaggiavano già da tempo lungo lo stivale. Nel 1974, infatti, mentre Rafaella Carrà lanciava la sua Rumore, anche la catanese Marcella Bella interpretava quello che viene considerato uno tra i primi brani Italo disco originali, dal titolo Nessuno mai. Qualche anno dopo, un’insospettabile Wilma De Angelis usciva per l’etichetta Spark con una hit dal titolo Tua. Da anni, poi, già prolificavano le cover in italiano delle maggiori hit disco in lingua inglese, come nel caso di Vivo Sarai delle Eva Eva Eva, cover di Stayin’ Alive dei Bee Gees o Cosa Mi Succederà de Le Streghe, cover disco di You Keep Me Hangin’ On delle Supremes.
Tra il ’76 e il ’78 vedono la luce incisioni iconiche come Figli delle stelle di Alan Sorrenti, mentre gli stessi New Trolls di cui sopra scrivevano e interpretavano la traccia-culto Ti voglio di Ornella Vanoni. Non è un caso che, se cercato su Google, quest’ultimo brano venga etichettato come “Pop, Kayokyoku giapponese”. La Italo disco, infatti, a livello sonoro non si differenziava praticamente in nulla da ciò che, con l’avvento dei sintetizzatori e degli strumenti elettronici in generale, stava avvenendo nel resto del mondo. Unica eccezione: la provenienza geografica. Sembrerebbe infatti che, per questioni di comodità nello stilare delle compilation, siano stati i tedeschi ad etichettare come Italo disco quella musica funk-dance da discoteca proveniente dall’Italia. Eppure, in questo calderone fatto tutto della stessa pasta, gli italiani come sempre hanno fatto del loro meglio per distinguersi: dalla Sardegna alla Puglia, passando per il cuore pulsante della Campania, ogni regione ha contribuito alla Italo Disco con i propri dialetti, i propri suoni, le proprie vibes.
È forse questo un quadro completo della storia? Certamente no.
Possiamo fare qualcosa per renderlo un filo più completo? Certamente sì.
A seguire, dunque, abbiamo preso cinque personaggi tra le migliaia che, tra cantanti, musicistə, autori e autrici, hanno contribuito a costruire il sound Italo Disco, questo genere surreale che dopo 40 anni ci dà ancora vitalità e vita.