Negli Stati Uniti c’è un preciso modo di dire per commentare un luogo pieno di talenti, imprenditori, di gente che sa il fatto suo: “There must be something in the water”.
E nell’acqua del Michigan deve sicuramente esserci qualche sostanza particolare, visto il proliferare di talenti e grandi artisti che ne vantano la cittadinanza, da J Dilla a Eminem, passando per Stevie Wonder e arrivando a Madonna.
Ma in uno stato di grandi lavoratori del settore industriale e operaio, com’è mai potuto succedere che nascesse una delle case discografiche che avrebbe sconvolto i connotati dell’industria musicale mondiale? Come diceva Dilla nella prima traccia del suo primo album Welcome 2 Detroit, c’è poco da calcolare nella capitale dello stato dei wolverines: “Welcome to the D, baby / It’s all live down here / What you see is all real”. E la storia della Motown Records è la prova di quella spontaneità e imprevedibilità che, per qualche motivo, sono sempre gli ingredienti principali delle avventure più avvincenti.
C’era una volta Berry Gordy, un ragazzino di Detroit che sognava di fare il pugile, ma che a 16 anni viene chiamato a prestare servizio per la Guerra di Corea. Tornato a casa, apre un negozio specializzato in musica jazz, ma anche questo sogno è destinato a fallire nel giro di poco. L’unico destino per i ragazzi di Detroit sembra l’impiego nel settore in cui la grande D ha il pieno dominio: l’industria automobilistica. E così Berry, disilluso, si sposa e comincia a lavorare per Ford.
Puoi provare a reprimere un sogno, ma non puoi reprimere la tua vera natura: e così una bella mattina il nostro Berry si sveglia e dice basta. Si licenzia, divorzia dalla moglie e decide che l’unica industria in cui ha intenzione di lavorare è quella musicale. Dopo una prima fase da autore con guadagni estremamente limitati, Gordy fonda la sua casa discografica. Al momento di scegliere il nome non ha dubbi: Motown, abbreviazione di Motor Town, uno dei più celebri soprannomi di Detroit.
Primi artisti scritturati: Smokey Robinson & The Miracles, che Gordy aveva conosciuto appena diciassettenni. Il primo singolo è un successo stratosferico e arriva ad essere il secondo più venduto negli USA. Uno dietro l’altro, Berry scrittura una serie di nomi allora sconosciuti costruendo un roster che a posteriori fa venire la pelle d’oca: The Temptations, The Supremes, un appena dodicenne Stevie Wonder e un ancora sconosciuto Marvin Gaye, che Berry aveva per caso visto esibirsi a Detroit con il suo gruppo, i Moonglows, e a cui aveva deciso di proporre un contratto da solista che lo porterà a incidere per Tamla (sottoetichetta di Motown) tra i dischi più belli e iconici della storia del Soul. A questo elenco di talenti si aggiungono i Jackson 5, che pubblicheranno per Motown il loro album di debutto, su cui Gordy aveva deciso di cucire una leggenda per amore del marketing: detta leggenda vorrebbe che i Jackson 5 fossero stati scoperti dall’allora artista di punta dell’etichetta, Diana Ross, che a quell’album di debutto fa da madrina direttamente dal titolo.
I sogni si possono infrangere, l’importante è conservarne i pezzi, non dimenticarli e rimetterli insieme quando si sente che è arrivato il momento. La lunga e complessa storia di Berry Gordy e di Motown ci insegna proprio questo. E per fissare i cardini di questa lezione di oggi, ci andiamo a ripassare alcuni dei più bei dischi Motown campionati nelle nostre tracce preferite.