È una giornata come un’altra. Sei esausto e la stanchezza ti porta ad appoggiare la testa e chiudere gli occhi. D’improvviso sei bambino. Vedi una porta e dietro quella porta c’è della musica, e i tuoi fratelli più grandi che ridono e si divertono. Quella melodia è più forte di te: devi entrare. Cerchi di sfondare la porta con il pugno per farti sentire, ma tutto ciò che ti rimane è la schiena contro la porta, mentre Perfect Love di Todd Edwards continua a ipnotizzarti. E così, esausto dal tanto urlare, appoggi la testa e chiudi gli occhi.
Sei un ragazzo nei suoi vent’anni e sei seduto su una poltrona accanto a un letto. Lì c’è tua madre. È gravemente malata, ormai ai suoi ultimi giorni. Quanti desideri possiamo esaudire in una vita? Fino ad ora hai desiderato con tutto te stesso di diventare un producer di successo. Ma come fai adesso a non sacrificare quel sogno in nome di una preghiera per la vita di tua madre? Le lacrime ti solcano il viso e, nella speranza che tutto finisca presto, ormai esausto, appoggi la testa e chiudi gli occhi.
Sei un uomo adulto. Una bambina ti prende per mano, ti guarda: ti chiama papà. Il tuo cuore slabbrato dal dolore della perdita, dell’incertezza, del vuoto, adesso è di nuovo pieno fino a scoppiare. Guardi per terra e state fluttuando. Niente può fermare questo volo, tranne una voce che ti chiama: “SAMPHA, BRO WAKE UP”.
È con questa esortazione che si apre il secondo incredibile viaggio nel mondo onirico di Sampha, Lahai.
A sei anni dal suo album di debutto, Sampha ha avuto il tempo di guardarsi intorno, collaborare con artisti di altissimo calibro e di interrogarsi sulla direzione che la sua vita stava prendendo. Il 2020, poi, è un momento cruciale nella vita di Sampha Lahai Sisay e dunque nella costruzione di questo nuovo volo d’uccello sulla sua esistenza.
La copertina di Lahai mostra Sampha con quella che, dall’unica foto a disposizione, sembrerebbe la sua compagna, mentre indica con la mano il numero 4. L’annuncio su Twitter con una sfilza di termini descrittivi e immaginifici fa pensare che questo disco non parli solo del sogno, ma anche del risveglio.
“LAHAI”
My grandfather’s name
My middle name
My next musical chapter
My next albumFever Dreams. Continuums. Dancing. Generations. Syncopation. Bridges. Grief. Motherlands. Love. Spirit. Fear. Flesh. Flight. pic.twitter.com/iTF1OaHZ3p
— Sampha (@sampha) August 24, 2023
La saggezza del nonno Lahai mai conosciuto, il dolore della perdita dei genitori, la solitudine, la paternità: tutti temi ricorrenti in questo disco che morbidamente porta Sampha dal fluttuare perdutamente nel dolore a diverse velocità e intensità di Process a poggiare dolcemente i piedi sul suolo lunare, per accettare la realtà della vita che scorre avanti e indietro tra ricordi e aspettative per il futuro, tra passato e futuro, tra l’ora e il mai più.
Per l’occasione, poi, le parole del racconto di Sampha vengono accolte da un morbido ma strutturatissimo letto strumentale, a cui prendono parte nomi incredibili della scena musicale alternativa, come Yussef Dayes, Yaeji, Mansur Brown, Ibeyi, Sheila Maurice Grey dei Kokoroko e con grande sorpresa anche El Guincho, diventato celebre per aver prodotto El Mal Querer di Rosalía.
Spesso, per definire la fluidità di un artista come Sampha, si pecca appellandosi ad espressioni tipo: “ricorda il flow di questo, ricorda la melodia di quello, ricorda l’espressività di quell’altro”. Ma chi scrive suppone che la purezza di questo artista possa solo permetterci di individuare qui e lì degli elementi a noi familiari, come elementi di Drum’n’Bass mischiati con il miglior Nu Jazz della scena inglese e ricchi di richiami all’Afrofuturismo di Sun Ra e alla Classica contemporanea di Steve Reich, nella scelta di suoni che arrivano al palato con il calore di strumenti acustici, ma che lasciano in bocca un forte sapore elettronico, spaziale, interstellare.
Per distinguere il sogno dalla realtà, spesso ci appigliamo a qualcosa di surreale, qualcosa che ci confermi che non stiamo davvero vivendo ciò che vediamo. Con Lahai Sampha arriva alla meta del suo viaggio cosmico. E quella meta, forse, non consiste nel superare il tempo in modo lineare, bensì nell’imparare a guardarsi avanti e indietro nella storia con levità, senza provare alcun dolore.