Qualche tempo fa parlavamo dell’importanza di un ascolto consapevole delle lyrics dei nostri pezzi rap preferiti. Questo perché non è raro che alcuni pezzi incitino all’odio e, in particolare, all’odio femminile. Del resto, la cultura del macho nell’Hip Hop è sempre stata di casa, per questo oggi più che mai è importante farci delle domande e soprattutto capire il motivo per cui, sebbene siamo negli anni 2000, al posto di vedere futurismo e macchine che volano, ci ritroviamo ancora a scrivere questo articolo.
Se è tanto difficile nel 2023 trovare un contesto favorevole alla comprensione delle questioni di genere, altrettanto facile è immaginare come alla fine degli anni ’80 il background culturale e la concezione della figura femminile non fossero di certo tesi a una possibile rilettura del sistema machista.
Nonostante la faccia più nota del rap sia sempre stata quella gangsta, però, già dal 1982 da The Message di Grandmaster Flash (“I can’t walk through the park ‘cause it’s crazy after dark“), a Survival of the Fittest dei Mobb Deep (“You’re walking with your head down scared to look”), gli uomini acquisiscono un nuovo diritto: possono cominciare ad avere paura, ad essere fragili, a disprezzare la vita di strada e cercare di allontanarsene. Così la scena si popola di profeti che vogliono allontanare i ragazzi dal ghetto, spiegando loro che la thug life non farà di te un uomo. Casi emblematici come Gangsta’s Paradise di Coolio o Street Struck di Big L, hanno permesso ai giovani ragazzi afroamericani di porsi delle domande, di chiedersi se ciò che erano abituati a vedere era davvero la normalità o solo il frutto di una società corrotta.
Molto diversa è la questione per tutti gli altri generi diversi dal maschile, che per cercare di toccare con un dito i propri diritti si sono ritrovati a dover combattere un sistema estremamente più radicato e normalizzato a una scala di gran lunga più ampia. La lotta per la rivendicazione dei diritti fondamentali è passata da diversi canali, dalle warehouses in cui la comunità LGBTQ+ si esprimeva tramite la musica House, ad alcune rare figure di rapper combattive che hanno usato la loro voce per spiegare ai propri colleghi che alcuni atteggiamenti denigratori e oggettificanti non erano più accettabili.
Chiederci a che punto siamo nel 2023 è una domanda estremamente dolorosa. Se Missy Elliot, Nicki Minaj e Ice Spice devono ancora essere tacciate di essere volgari per aver cominciato a fare ciò che i loro colleghi uomini fanno da 40 anni (parlare di sesso liberamente ed esplicitamente), significa che ad oggi qualsiasi genere che non sia il maschile non ha ancora acquisito il diritto di rivendicare la propria sessualità e, più in generale, la propria libertà individuale, al pari degli uomini e senza giudizi.
Ma anche qui, per nostra fortuna, la storia è costellata di eccezioni: in mezzo a un universo di brani che oggettificano la figura femminile, la riducono a soggetto fragile della volontà dell’uomo, la vogliono dipendente da ciò che la società maschilista ha scelto per lei, ci sono dei brani che si alzano in piedi, che dicono no, e che ci spiegano la forza, il potere e l’autodeterminazione che un individuo non-uomo può e deve assolutamente riconoscersi. Not all men sono colpevoli della società maschilista, e not all male musicians sono colpevoli dell’oggettificazione femminile che ancora oggi porta (peraltro in modo binario) a pensare alla donna come a una proprietà esclusiva di un uomo. Però, per quanto sia difficile accettarlo, all men sono in qualche modo responsabili, e come tali possono sedersi accanto a un amico, ascoltare insieme uno di questi cinque brani che inneggiano all’empowerment femminile, e parlare di quanto sia sacrosanto il diritto di ogni individuo a camminare per strada senza avere paura, e vivere la propria vita senza sentirsi di proprietà di qualcun altro.