L’Era Spaziale secondo BIANCA FELICORI
In base alle richieste che mi erano state fatte, ho cercato di applicare una strategia curatoriale che unisse quelli che erano i requisiti, quindi l’immagine space age di un’architettura sperimentale e alcuni personaggi che secondo me erano in linea con questa ricerca, ovvero l’unione di forme nuove sperimentali e il riferimento al movimento moderno che stava appunto andando per la meglio nel primo e nel secondo novecento in Europa.
Il filo rosso di tutta la ricerca architettonica è Carlo Mollino che secondo me rappresentava al meglio questa estetica, perché, oltre a portare avanti un’architettura estremamente sperimentale, era un grandissimo personaggio.
La cosa più interessante secondo me è il fatto che lui avesse un’idea di progettazione a 360 gradi che non includeva soltanto l’architettura ma anche il prodotto industriale, tanto che Mollino a un certo punto della sua carriera si mette a disegnare anche aeroplani e macchine.
Quindi un’estetica che si rifà anche a una tecnologia industriale, della macchina, che riprende anche quello che era il movimento artistico del futurismo e quello che stava accadendo in Inghilterra con il new brutalism e Reyner Banham, questa idea proprio di età della macchina.
Ciò si rivede all’interno del Teatro Regio, come nel progetto della biblioteca. Cito la biblioteca perché negli anni a venire post-Mollino, Mollino è sempre stato un riferimento per i progettisti, quindi anche Giambattista Quirico riprende quella che è un po’ una scuola che si crea all’interno della città di Torino, con i riferimenti espliciti al suo stile, al modo di progettare etc.
Invece c’è un caso più specifico, ovvero dove è stato scattato l’artista, all’interno alla casa di Ezio Gribaudo, che secondo me era perfetto, perché rappresentava un progetto di collaborazione tra un artista e l’architetto. L’architetto infatti è Andrea Bruno che progetta questa casa museo per Ezio Gribaudo, un rapporto di amicizia tra due grandi uomini che vivevano e lavoravano all’interno della città.
Il risultato finale è proprio questa scatola in cemento, che sembra una specie di scultura abitabile, questi cubi che aggettano verso il paesaggio con grandi aperture grande finestre che appunto all’interno racchiudono quelli che sono stati gli anni di formazione e di stratificazione della storia dell’arte di Ezio Gribaudo quindi dalla sua biblioteca, alla produzione di prototipi, alla sua vera e propria arte, alla sua collezione.