I “gusti musicali” sono il gancio che ti può legare a qualcuno per tutta la vita o la navicella che può spedire una persona il più lontano possibile da te.
Ma quali sono nel 2024 le ragioni per cui ci innamoriamo di un brano, di un disco, di un artista? Rispetto a un decennio fa, il nostro modo di legarci a un prodotto sonoro è davvero cambiato?
In apparenza suonano come domande immotivate, ma alle porte di questo nuovo anno, in un mondo che cambia di giorno in giorno così follemente, abbiamo motivo di pensare che sia necessario dedicare uno spazio a questa riflessione e guardarci dall’esterno come esseri ascoltatori e ascoltanti, per capire qual è il motivo per cui amiamo un artista piuttosto che un altrə.
Se lo compariamo a un 2022 marchiato a fuoco da Kendrick Lamar, SZA, Rosalía, Steve Lacy e Beyoncé (per citarne un paio), il 2023 è stato un anno in cui i grandi eventi discografici sconvolgenti non sono stati moltissimi, e per la nostra riflessione partiamo proprio dal citarne un paio.
A due anni dall’(ormai non più) ultimo EP Intimidated e a quattro dal suo ultimo disco BUBBA, KAYTRANADA è tornato in pompa magna affiancato da Aminè con un nuovo progetto dal titolo KAYTRAMINÈ, che abbiamo cominciato ad amare ben prima che uscisse. Ci ha fatto volare? Ovviamente. Ma in mezzo ai fumi dell’hype, ci siamo mai chiestə se potesse esistere la possibilità che quel disco non ci piacesse? Che quella coppia rischiasse di essere solo l’unione di due icone?
Spieghiamoci meglio.
L’uso del termine “icona” non è un caso: “icona”, infatti, deriva dal greco “immagine”. Qualcosa che dunque contempliamo per come appare, non per forza per com’è. E quale migliore esempio di icona se non Kanye West, che per circa un mese ci ha tenuti col fiato sospeso nella speranza di ascoltare il suo prossimo disco riecheggiare tra le lande di Reggio Emilia per poi catapultarci nella delusione più totale? È difficile mettere in discussione un personaggio che da ben 20 anni (sì, The College Dropout usciva ben 20 fa) si è guadagnato la nostra più totale fiducia scolpendo di prima mano le forme della musica contemporanea. È difficile anche riuscire a credere alle teorie complottiste che vogliono che Vultures, il nuovo disco in collaborazione con Ty Dolla $ign che dovrebbe uscire tra tre giorni, sia pieno di riferimenti più o meno velati a posizioni politiche massimamente estremiste. Ma in questo caso la domanda è: quanto dei nostri gusti musicali viene scalfito da questi eventi? Se il disco in fondo non fosse come ce lo aspettiamo, se Kanye non corrispondesse più all’idea musicale che ormai abbiamo di lui, saremmo capaci di accettarlo?
Lo stesso immenso pericolo di cecità è legato a un’altra icona gigante che tiene stretto in mano il nostro cuore da quando ha aperto bocca per la prima volta.
Insomma, se Frank Ocean facesse un disco inconsistente, avremmo la lucidità per rendercene conto? Anche quando la risposta fosse no, saremmo comunque nella ragione, e il motivo è semplice: se è vero che negli anni Duemila perchè un artista entri nelle nostre grazie deve avere stile e carisma oltre che talento, è altrettanto vero che è sempre stato così sin dalla notte dei tempi.
Come puntualizzato da Erykah Badu durante un’intervista di un po’ di anni fa, infatti, prima del digitale esisteva già un canale di persuasione visiva fondamentale per gli artisti: erano le copertine dei vinili, al tempo unico punto di contatto che un fan potesse avere con i propri idoli (se si escludono i concerti, ma quella è sempre un’altra dimensione). Già allora la copertina di un disco poteva affascinare, come faceva Donna Summer, creare empatia come nel caso di What’s Going On di Marvin Gaye, o trascinarti in una storia, come nel caso della foto che campeggia su 36 Chambers, in cui i sei membri non incarcerati dei Wu-Tang si presentano mascherati in onore degli assenti Method Man e U-God.
A prescindere dal fascino della quotidianità digitale, dal racconto dei social e dalla nostra percezione soggettiva del fenomeno “musica”, che ci piaccia o no il motivo per cui nel 2024 ci piace un artista piuttosto che un altrə è ancora il più antico del mondo: perché in un modo o nell’altro dentro quella persona, dentro quel suono, dentro quel racconto, rivediamo qualcosa di noi stessə. E a prescindere da come quell’artista cambierà nel tempo, si è legatə a noi in modo indissolubile, farà parte di noi per tutta la vita, e per questo gli perdoneremo qualsiasi scivolone, errore o nefandezza artistica e umana.
E allora quando ci passa per la mente che il digitale ha creato dei miti, o che il bombardamento di immagini a cui siamo abituati ha distolto la nostra attenzione “dalla vera musica”, è bene ricordarci che internet ha solo nutrito e potenziato qualcosa che in realtà esisteva già. Perché da sempre e per sempre ascoltare e valutare ciecamente un prodotto musicale senza farci influenzare dall’adorazione e dall’immedesimazione che proviamo per il personaggio che lo canta è umanamente impossibile.
Se siamo qui oggi a scrivere questa riflessione, è solo perché per questo 2024 vi e ci auguriamo di riuscire sempre a ricordarci del nostro diritto di replica, di cambiamento e di messa in discussione dei nostri gusti musicali, così come di tutte le cose importanti della vita a cui ci siamo abituatə e che in un modo o nell’altro ci definiscono come persone.