Per lo starter pack di oggi abbiamo deciso di dedicare uno spazio a uno dei generi più ibridi, e dunque spesso più difficili da distinguere, nella storia della musica contemporanea.
Per la sua natura spontanea e organica (più un “movimento” che un genere musicale definito), quello che oggi chiamiamo Trip Hop, per lungo tempo non ha portato questo nome. Ma andiamo con ordine.
Siamo a Bristol, e alla fine degli anni ’80 la cultura dancehall / soundsystem importata dalla comunità di origine jamaicana è già più che radicata sul territorio inglese. In quegli anni tutti i party di quartiere più esaltanti, che avevano luogo come spesso accade nelle aree urbane più svantaggiate, non potevano sottrarsi a un’ibridazione reggae e dub di quello che era l’humus di partenza del panorama musicale inglese underground del periodo, fatto di subculture della black music che suonavano jazz, funk, hip hop, rap e R&B.
È un collettivo chiamato “Wild Bunch” che segna definitivamente una linea logica in questo felice caos, e non solo diventando il nucleo nevralgico degli eventi underground di Bristol. Di questo collettivo, infatti, facevano parte Andew Vowles, Robert Del Naja, Grant Marshall e Tricky, che nel 1987 avrebbero fondato un gruppo chiamato Massive Attack.
Prima di avere il primo album dei Massive Attack, il mondo dovrà aspettare 4 anni di sperimentazione e tentativi che, però, culmineranno con quello che ad oggi è considerato il primo vero disco Trip Hop della storia: Blue Lines. Si delineano così finalmente i termini di questo genere così labile: batterie hip hop, basso dub, sample melodici presi dal jazz e dal soul, e voci spesso eteree, melanconiche, al limite della psichedelia.
I primi anni Novanta vedono finalmente il fiorire di una rosa di band inglesi che si fanno portavoce del genere e che lo marchieranno a fuoco, tra cui Portishead, Moloko, Morcheeba e lo stesso Tricky che nel 1995 intraprenderà la carriera solista. Fino a quando il movimento era rimasto a Bristol, il genere portava il nome di “Bristol sound”. Ma è quando questo sound scavalca i confini di Bristol e addirittura dal Regno Unito che arriva l’etichetta “Trip Hop”.
Nel 1994, infatti, un giornalista di Mixmag, usa questo gioco di parole tra Trip (in inglese “viaggio”) e Hip Hop, per descrivere le sonorità di un brano di DJ Shadow dal titolo In / Flux.
Le sonorità, i breakbeat, i sample ricordano certo l’Hip Hop, ma è tutto troppo downtempo, psichedelico, proprio come un viaggio spirituale. E in quello stesso viaggio fuori dall’Inghilterra si imbarcheranno band storiche come Hooverphonic, Thievery Corporation, Kruder & Dorfmeister, e a tratti persino Björk, che nel suo album Debut non accenna a nascondere influenze Trip Hop forse lontanamente derivanti anche dalla sua relazione del tempo con Tricky.
Anche in Italia non abbiamo aspettato molto per godere dell’impatto positivo di questo nuovo ibridissimo genere. Il primo disco Trip Hop italiano sembrerebbe essere Daniela è felice, di Mietta, datato 1995. Ma se provassi a riascoltare Luce di Elisa sotto un’altra luce, appunto, riusciresti forse a sentire quelle influenze deep, oscure, con il rullante tirato e definito. Il disco da cui questo brano è tratto, infatti, Asile’s World, è composto quasi interamente di brani in inglese dalle sonorità downtempo che tanto ricordano il Bristol sound. Altri act come Almamegretta e Casino Royale hanno portato e plasmato questo suono in Italia, ma più che descriverlo forse è il caso di ascoltarlo.
In questa playlist trovi una selezione dei brani che, secondo noi, non si possono non conoscere nell’approcciarsi al Trip Hop. Se sfogli invece, abbiamo selezionato quelli che per noi sono i 5 dischi fondamentali da conoscere se stai incontrando questo genere per la prima volta.