Cranìa – Quattro Mura
“584” è il nuovo e primo disco di Cranìa, è uscito lo scorso venerdì, e prende vita dal rumore di un treno che se ne va. Forse fa un viaggio ecologico e lunghissimo verso Venere, e come il pianeta ci metterà 584 giorni a fare la rivoluzione (cioè a ricongiungersi con il Sole). Poco male, abbiamo un sacco di tempo, abbiamo tutta la vita.
Venere sembra sempre molto vicino, si manifesta prima dell’alba o dopo il tramonto, lucentissimo. Io sono una di quelle persone che quando vedono Venere allungano l’indice verso il cielo e dicono “Venere!” (nello stesso modo in cui dico “le capre!” quando vedo le capre, o “le more!” quando passeggio per il bosco gli ultimi giorni di agosto). Poi sorrido. Sorridono anche gli altri, ma forse è per gentilezza.
“584” è luminoso, si nasconde a notte fonda, non trema, si lascia indicare. C’è una canzone dell’album che mi piace particolarmente e si intitola Quattro mura. Forse mi piace per il modo in cui entra il piano, forse perché le percussioni sembrano bicchieri rotti, forse perché dopo un minuto si ferma e riparte. “Gli oggetti sono meglio di noi”.
E allora provo ad immaginarle, le Quattro mura che Cranìa non vuole più abitare, e penso che forse questa canzone non esisterebbe se abitasse, non so, a casa di Alessandro Michele, o nella caverna dove ha vissuto per 500 giorni (quasi la rivoluzione di Venere) Beatriz Flamini, o in quella casa che stavano ristrutturando a Cincinnati quando hanno scoperto un tesoro.
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