“Steve Lacy’s Demo“, l’EP di debutto di Steve Lacy che in questi giorni compie già il settimo anno di età, non è un EP di debutto come gli altri.
Quando parliamo di “debutto”, infatti, pensiamo a un artista che abbia appena cominciato la sua carriera, che abbia messo insieme alcuni dei suoi pezzi migliori per regalarli al mondo e affacciarsi alla musica con la propria voce (sia essa fisica, o di uno strumento) per la prima volta. La storia di Steve Lacy, invece, è ben diversa: questa raccolta di brani, infatti, arriva a coronamento di una carriera surreale fatta non solo di felici coincidenze e di momenti fortunati, ma anche di una voglia sfrenata di entrare nel mondo della musica a qualsiasi costo e, soprattutto, con qualsiasi mezzo.
Un giorno Steve Lacy, che al tempo aveva appena 15 anni e suonava nella banda della scuola, incontra un tastierista di nome Jameel Bruner (sì, è il fratello di Thundercat), che in quel momento stava entrando a far parte della nuova formazione dei The Internet. Fino ad allora, infatti, la band di Syd e Matt Martians affiliata alla Odd Future, stava attraversando un momento di ricomposizione, dopo la dipartita dal gruppo del tastierista Tay Walker. La formazione originaria, poi, non prevedeva un chitarrista fisso, ma Jameel pensa subito che al gruppo avrebbe fatto bene averne uno, e Steve sembrava davvero calcare tutti i requisiti.
Fino a quel momento, Steve non si era mai pensato come un musicista di professione. Ormai leggendaria è la storia, da lui stesso raccontata durante una TED talk del 2017, che nella sua lista di Natale ogni anno ci fosse un Macbook, che la sua famiglia non aveva mai potuto comprargli. Tutte le persone creative di successo che lo circondavano ne avevano uno, ma quando lo scoglio si fa inarginabile e la possibilità di comprarlo erano ufficialmente a zero, ecco che Steve riesce a mettere le mani su un iPod Touch. Basterà un cavo per pluggare la sua fedelissima e piccolissima chitarra elettrica che possiede da quando era bambino (e che esibisce fieramente proprio sulla copertina del suo primo singolo “Dark Red”) per cominciare a registrare le sue prime demo.
Dall’ingresso di Steve Lacy, il suono dei The Internet cambia completamente: ascoltare “Feel Good” e “Ego Death” di fila, fa comprendere quanto del suo timbro e della sua cifra stilistica sia permeata nella poetica musicale già così raffinata della band. Per lavorare a “Ego Death”, Steve avrà l’opportunità di entrare in uno studio vero, con tutta la strumentazione professionale del caso. Eppure, molte delle cose che sentiamo in quell’album nascono dallo stesso workflow: un riff di chitarra, un tappeto di voci armonizzate e una linea melodica registrate sull’iPhone. Questo è il primo disco a cui Steve Lacy mette mano, un lavoro che a soli 18 anni lo porterà ad essere candidato ai Grammy per Best Urban Contemporary Album.
A quell’età, Steve Lacy non può fare tante cose: sono tanti i locali frequentati dai The Internet in cui lui non ha l’età legale per entrare, e sarà costretto a saltare una serie di date dell’Ego Death Tour a causa degli impegni scolastici (chi era al Biko a Milano il 22 marzo 2016 ricorderà sicuramente la sua grande assenza). Ma è proprio nella fase successiva alla vibrante febbre per “Ego Death” che cominciano ad aprirsi nuove strade per lui, di cui una in particolare lo consacrerà ufficialmente a produttore professionista: Kendrick Lamar lo porterà in studio con sé per registrare delle demo che porteranno alla nascita di “PRIDE.”, in cui Steve Lacy produce la strumentale e registra le voci principali del ritornello, il tutto senza mai compromettere il suo personalissimo stile e timbro.
In quel prezioso 2017, con una carriera già all’apice, Steve decide che è il momento di riaprire i suoi cassetti personali e raccontare la propria storia come artista individuale, oltre che come producer e membro di una della band più apprezzate della musica urbana di quel periodo. E così viene alla luce “Steve Lacy’s Demo”, una raccolta di brani che più che demo registrate con un iPhone suonano a tutti gli effetti come le canzoni fatte e finite di un artista che sa benissimo cosa vuole dire e come vuole dirlo.
Questo racconto non è solo la storia di un “sogno americano”, ma anche la base su cui ci sentiamo di smentire tutti coloro che hanno tacciato Steve Lacy di essere una meteora usa e getta dei social (il fatto che “Dark Red” abbia più play di “Bad Habit” è abbastanza indicativa in questo senso). Se nel 2017 il mondo (e forse lo stesso Steve) pensavano che per lui quello fosse davvero l’apice, il senno di poi sulla carriera in perenne ascesa di questo artista ci dimostra che se le cose vanno già bene, non è detto che non possano andare ancora meglio.