Articolo di Federico Pucci.
In un vecchio TED Talk, che compie 10 anni in questi giorni, Mark Ronson faceva un elogio dell’arte del sampling prendendo come esempio La-Di-Da-Di di Doug E. Fresh e Slick Rick, e mostrando come le sue parole fossero passate di artista in artista, da Biggie fino a Miley Cyrus (per non parlare di Beastie Boys, Robbie Williams, e così via).
“Campionare non è essere troppo pigri per scrivere una propria canzone e allora rubare quella di un altro: è volersi inserire nella storia di quella canzone”, diceva Ronson. Giustissimo. Peccato che le canzoni citate a supporto della sua tesi non contenessero campionamenti di quel brano. Tutti gli esempi citati, infatti, erano interpolazioni.
Interpolare significa inserire dentro la propria canzone un elemento (musicale o testuale) estraneo, proveniente da un’altra canzone: è una contaminazione che deve trovare un equilibrio perfetto tra la riconoscibilità e il mimetismo per attecchire. Prima ancora che i campionamenti fossero tecnicamente possibili, i compositori sapevano prendere in prestito la musica altrui riscrivendola e risuonandola: cioè, interpolando. Potevano farlo per interesse personale o come sfida intellettuale, come omaggio palese o nascosto. O, per citare Mark Ronson, “per inserirsi nella storia di quella canzone”, provare ad aggiungere qualcosa di nuovo a una tradizione e farla andare avanti.
L’interpolazione è matrigna del sampling. Interpolavano i Beatles (All You Need Is Love è una maratona di citazioni) negli anni ‘60, che venivano a loro volta interpolati da David Bowie negli anni ‘70 (Young Americans, co-scritta con Lennon). Interpolavano da un passato remoto i Procol Harum con gli accordi di Bach riusati in A Whiter Shade of Pale, ma è un’interpolazione freschissima quella che pone la prima pietra miliare discografica dell’hip-hop.
Il 2 agosto 1979, quando i Sugarhill Gang rappano “to the beat” in Rapper’s Delight, quel beat è copiato nota per nota da un brano pubblicato nemmeno due mesi prima: Good Times degli Chic. Dentro questa scelta (e l’iniziale bisticcio legale) c’è l’ingenuità ma anche la forza di quella musica nascente, che riscattava anni di furti ai danni dell’arte afroamericana anche con piccole prove di audacia come questa.
Ma il rap sarebbe cambiato a breve, l’esplosione del sampling dalla metà degli anni ‘80 avrebbe portato produzioni geniali (De La Soul, Wu-Tang Clan) ma anche alcune facilonerie che tentavano di “vendere nostalgia a buon mercato”. Uno dei più universali successi hip-hop di sempre segna una sottilissima linea tra genio e pigrizia nell’interpolazione. Nel 1995 in tutto il mondo risuona Gangsta’s Paradise: la traccia è costruita sulla melodia e la base strumentale di Pastime Paradise, dall’album best-seller di Stevie Wonder Songs In The Key of Life (non proprio una b-side). Quindi Coolio non ha meritato il successo del brano? Al contrario: la canzone ha una sua identità forte, che consiste anche nel ribaltare su sé stesso l’argomento del brano originale, non più amaramente nostalgico ma amaro e basta. Tuttavia, da quel megasuccesso certi artisti e label avrebbero appreso le lezioni sbagliate.
Interpolare può essere anche un comodo stratagemma per evitare di pagare due volte i diritti del brano che si vorrebbe campionare, tanto che nel sottobosco musicale degli anni ‘90 sono fiorite le carriere di produttori e strumentisti che garantivano remake perfetti per i sample non approvati dai legittimi proprietari.
Nel 2005 Kanye West e Jon Brion hanno preferito ingaggiare Jamie Foxx per fargli cantare I Got A Woman di Ray Charles e arrivare a Gold Digger alle loro condizioni. A quel punto, riprendere ritornelli famosi e riproporli con minime aggiunte si era trasformato in un business per artisti e produttori a cavallo tra urban, pop ed elettronica. Nel 2009 Flo Rida imbecca due successi con due rivisitazioni non troppo originali di Eiffel 65 e Dead or Alive. Due anni dopo, con On The Floor, Jennifer Lopez e Pitbull non si limitano a campionare Lambada, ma ne ripetono anche la melodia. La grana è sempre più grossa e per un mercato che non ha ancora mezzi e piattaforme per cavalcare la rivoluzione digitale, tutto sommato, le sicurezze economiche di un remake prevalgono sulle aspirazioni artistiche.
Ma nel frattempo si andava sviluppando anche una nuova sensibilità per lo scambio di idee musicali, e l’arte dell’interpolazione ha continuato a fiorire. Così, poté capitare che nel 2013 una band indie rock come i Vampire Weekend rifacessero da zero una canzone dei Souls of Mischief, band proveniente da Oakland e solo di passaggio nelle major league dell’hip-hop: Step non cavalca le fortune di una hit straconosciuta, visto che il brano originale (Step To My Girl) non fu mai pubblicato ufficialmente.
Tre anni dopo, quando Beyoncé prende in prestito otto parole da Maps degli Yeah Yeah Yeahs per il ritornello di Hold Up, cantandole sopra tutt’altra melodia e produzione, non sta facendo altro che prendere in prestito un’immagine forte di orgoglio e codipendenza: “They don’t love you like I love you” non sarà una frase originale, ma nel contesto di Lemonade non sembrano una citazione a vuoto. E a volte l’interpolazione nasconde un’ambizione: in White Ferrari Frank Ocean cita i Beatles, perché aspira a quel livello di perfezione pop?
Gli anni Dieci hanno visto alzarsi la posta in gioco del prestito, che si parli di sample o interpolazione: di fronte a una società progressivamente più adulta, ancorata ai ricordi nostalgici dell’adolescenza (tra anni ‘90 e anni ‘00) il mercato poteva proporre qualcosa in più di un semplice revival: un reboot, un remake. Che – si sa – non sempre vengono bene.
Ma non tutto è andato storto. DJ come Kygo e Sigala o MC come Nicki Minaj avranno pure abusato delle interpolazioni, ma quell’arte non si è smarrita. The Weeknd non aveva bisogno di citare Your Song di Elton John nella sua Scared To Live (2020), ma il passaggio è talmente rapido e distorto, che non si può tacciare il canadese di aver cercato di rubare il carisma dell’originale.
Quando Jamila Woods nella sua Boomerang (2023) cita Seasons dei Future Islands, non fa certo appello a un enorme bacino di ascoltatori da stuzzicare con la sua citazione melodica e lirica. Ma i repertori di grandi artisti del passato non sono diventati intoccabili solo perché l’interpolazione è andata fuori controllo: per esempio, nella sua Born Yesterday Quadeca riprende le parole e il flow di due versi beatlesiani (“You want her, you need her and yet you don’t believe her”, da For No One), i quali si integrano però perfettamente nella narrazione del brano e nel suo mood, decisamente oscuro, tanto da sembrare scritti per l’occasione: e in fondo basta questo per capire se un artista sta citando per convenienza o con autentica convinzione.