Testo di Federico Pucci.
Alla fine del film Tár (e spero di non spoilerare nulla: nel caso, parti dal prossimo paragrafo) la protagonista, la stimata e tossica direttrice d’orchestra interpretata da Cate Blanchett, si ritrova “esiliata” lontano dai grandi teatri. Prima dei titoli di coda la vediamo sul podio, pronta a dirigere un ensemble che attacca a suonare la colonna sonora di Monster Hunter, storica serie di videogiochi action di ruolo ambientata in un mondo fantastico. Di fronte a lei, un pubblico interamente in tenuta da cosplayer. Il messaggio di questo epilogo – un’umiliazione artistica per Tár e una chiave di lettura nascosta nel titolo del gioco – non vuole tanto deridere gli appassionati di musica dei videogame: semmai, mettere in luce come, al netto delle pretese, anche il più grande maestro vivente deve porsi al servizio di chi ascolta, e non viceversa. Del resto, le colonne sonore di giochi come The Legend of Zelda o Final Fantasy sono entrate a pieno titolo nel canone musicale, sia alto, sia popolare. Un ingresso progressivo e graduale, che ha conquistato l’establishment e il pubblico, gli artisti e i produttori, fino a entrare a far parte del panorama musicale contemporaneo a pieno titolo.
La 65esima edizione dei Grammy, nel 2023, per la prima volta ha attribuito alle colonne sonore dei videogiochi una categoria a sé stante, separata dalle colonne sonore per cinema e TV, insomma. Un riconoscimento arrivato dopo decenni di contributi e di influenza della scena sull’intero panorama musicale. Parlare di questo impatto significa ripercorrere in parte la storia della musica per videogame (VGM). Secondo la vulgata, la linea di basso discendente in Re minore di Space Invaders (1978), segna l’inizio della VGM. Poco importa che un altro titolo contemporaneo, il decisamente meno famoso Circus, avesse già una collezione di suoni estrapolati dal canone classico e popolare, come la marcia funebre 2 di Frédéric Chopin: perché quello stesso anno gli Yellow Magic Orchestra avrebbero incluso tutto quanto in due tracce del loro album di debutto, primo contatto tra VGM e pop ed è già un caos di piani temporali, tra il futuro delle guerre stellari e l’800 romantico. Space Invaders avrebbe indirettamente contribuito a dare il via anche alla house, pochissimo tempo dopo, se si segue la linea genealogica che dalla novelty song Space Invaders degli australiani Player One (1979), porta fino a On & On di Jesse Saunders e Vince Lawrence (1984). Le strade di VGM e house music si sarebbero incrociate di nuovo, ma questa storia – che non intende ripercorrere per intero né le vicende della VGM né i pionieri della sua riproposizione nella pop music – deve qui fermarsi e compiere un salto di 20 anni.
Gli anni dei pionieri della VGM sono una frontiera di sfida alle limitazioni tecnologiche. Compositori come Koji Kondo (Super Mario Bros; The Legend of Zelda) o Hirokazu Tanaka (Tetris; Metroid) hanno il difficile compito di creare un accompagnamento interessante, fantasioso e non fastidioso con pochissimi canali audio a disposizione e dalle possibilità ristrette: tre onde quadre e triangolari, un canale di rumore per le percussioni e un rozzissimo sampler, nel caso del NES. E ci riescono, creando un linguaggio melodico di rarissima efficacia. In una storia che ha diversi step graduali (l’introduzione di canali FM-synth e sampling nella generazione 16-bit, per esempio), l’arrivo dei CD con Sony PlayStation nel 1994 è un vero passaggio epocale. Da quel momento in poi, i chip usati negli ultimi 10 anni diventano ciarpame, buoni solo per alimentare una sottocultura con aspirazioni idealiste tendenzialmente anticapitaliste, poggiata sulle prime reti sociali del web, confluita in scene artistiche multimediali carbonare come la demoscene e altri gruppi di smanettoni dell’8 e 16-bit. Uno scenario che avrebbe convinto perfino quel gancio di Malcolm McLaren (quelli dei Sex Pistols) a proclamare la nascita del 8-bit punk. Con il tempo questo revival avrebbe trovato una maniera per insinuarsi nelle nostre coscienze, quando due decenni di esposizione a una certa palette gracchiante avrebbero dato i loro frutti.
In questo caso, forse per qualche calcolo commerciale sull’appeal del videogame nel pubblico giovanissimo, il pop super-mainstream arriva rapidissimamente con le proprie grifie. Nel 2001 gli *NSYNC inondano la loro The Game Is Over di suoni di Pac-Man, mentre nel 2002 le inglesi Sugababes non solo inseriscono il suono di avvio di Frogger in Freak Like Me (2002).
Sono tracce abrasive, con richiami alle distorsioni chitarristiche (praticamente Sawayama con due decenni di anticipo) e un’atmosfera tutt’altro che serena e gioiosa come si addice al cliché del bubblegum pop. Sono i suoni di una prima ondata nostalgica e retromaniaca: il futuro non suona già più come quelle rozze forme d’onda, il futuro è iper polifonico e hi-fi; ma richiamare alla luce un suono che ha avuto un valore affettivo permette di dare una nuova mano di carte e provare a riscrivere la storia. Oggi quei suoni fanno parte del nostro immaginario uditivo collettivo: Boys di Charli XCX (2017) può usare come accento del suo inciso il suono della moneta di Super Mario, e buona parte del mondo (anche se non ha mai visto gli anni ‘80 di persona) sa da dove viene.
Il merito è anche di quella generazione di artisti che, nei secoli bui di transizione del mercato discografico da Napster a Spotify, hanno provato di tutto: anche a combinare l’estetica spigolosa dell’electro e della chiptune dentro un synth-pop irriverente. I Crystal Castles già nel 2006 con Alice Practice proponevano un clash a bassissima definizione e altissima intensità. Contemporaneamente, in Svezia Robyn si reinventa con un pop elettronico vorace di influenze, dall’hip-hop al clubbing, a – sembrerebbe – la VGM dei decenni passati: così si direbbe sentendo Cobrastyle. Il gusto domina la metà del decennio, da Beck ai Postal Service passando per Nelly Furtado. Questa estetica, di fatto, non abbandonerà più il patrimonio condiviso del nostro pop. Basta pensare alla cassetta degli attrezzi di PC Music, specie nelle produzioni di Kane West (cioè Gus Lobban) come Good Price (2014) che ha portato lo stesso gusto dentro i Kero Kero Bonito (citiamo Sick Beat, ma le canzoni contenenti sample diretti dai videogame sono decine).
O ancora a esperti assoluti della nostalgia e del supporto tecnologico obsoleto come i Glass Animals, che per la terza traccia del loro secondo album Season 2 Episode 3 (2016) hanno pescato da una vecchia library di suoni stile videogame, ma in compenso hanno fatto sviluppare un gioco vero e proprio in onore del brano. Nella triangolazione di influenze reciproche non si può non considerare il profondo impatto che la VGM ebbe sul pop giapponese, anche dopo gli Yellow Magic Orchestra: intanto per cominciare perché il primo album di VGM astratta dal suo contesto originale è opera di un ex componente degli YMO, Haruomi Hosono; e poi perché a partire dagli anni Zero gli idol avrebbero abbracciato il sapore nostalgico degli arcade (peraltro tutt’altro che tramontati in Giappone) suggerendo un’intersezione fruttuosa tra la bassa fedeltà dei vecchi chip e le avanguardie tecnologiche, la semplicità delle melodie videoludiche e gli intricati poliritmi jazz: Game delle Perfume nel 2008 (l’intero album e la title-track in particolare) è un esempio lampante di quello a cui una decina d’anni dopo avrebbe aspirato l’hyperpop, mentre Kyary Pamyu Pamyu (qui in Invader Invader) è un’influenza esplicita per i Kero Kero Bonito e metà della scena PC Music. Il merito andrebbe riconosciuto anche e soprattutto al produttore di entrambi i progetti Yasutaka Nakata, che con i suoi Capsule a partire dal nuovo millennio ha traghettato i pastiche post-moderni Shibuya-Kei verso un nuovo J-pop elettronico, anche grazie alla riscoperta della chiptune.
Questo rapporto non si è interrotto, né si è limitato al recupero nostalgico delle melodie dell’età 8-bit. Basta pensare all’influenza continua sull’immaginario lirico e sonoro di un JPEGMAFIA, che da Thug Tears a Bald fino al riferimento a Kingdom Hearts dentro il disco in collaborazione con Danny Brown, continua ad attingere da un mondo che l’ha profondamente formato, cercando – si direbbe – di riprodurne da capo il complesso arazzo utilizzando rumori di avvio ed effetti di gioco accanto a sample di colonne sonore cinematografiche o anime: la VGM come atto a cui partecipare, insomma.
E in questo i 100 gecs non sono da meno: la loro musica (757 per esempio) sembra vivere dentro Minecraft, dove il duo ha suonato almeno tre volte, organizzando anche un proprio festival (Square Garden). Se per i gecs la musica è una costruzione di nuovo senso a partire da materiali noti, Minecraft è quasi un manuale d’uso per l’arte. Ma anche uno spazio post-umano alla portata di tutti, luogo di fuga da un presente angosciante, e anche in questo ci aveva visto lunghissimo Burial. Dentro la fittissima trama di sample della sua musica i temi e gli effetti sonori dei videogame hanno un ruolo veramente centrale: dalla serie Silent Hill (musiche di Akira Yamaoka)arrivano estratti per Endorphin, Chemz e Afterglow; da Metal Gear Solid 2 non solo arriva il tema composto da Harry Gregson-Williams e Norihiko Hibino, spina dorsale di Archangel, ma anche notoriamente una serie di effetti ambientali (il rumore di una cartuccia raccolta per terra) utilizzati per comporre percussioni lungo tutto Untrue. Non si tratta solo di estrarre beni da un patrimonio di suoni e memorie, ma di esplorarne il profondo effetto filosofico e mentale come spazio altro che infesta anche il nostro presente distopico. E per questo i temi scelti non sono casuali: Burial non usa temi qualsiasi, ma brani dissonanti, drasticamente in minore, atmosferici per evocare la consolatoria angoscia di certi mondi virtuali.
Questo è stato possibile per l’evoluzione costante della VGM. Yuzo Koshiro, pioniere della sintesi FM nella musica per videogame tra anni ‘80 e ‘90, ha introdotto una generazione di gamer ai suoni della club culture. Le sue composizioni per la serie Streets of Rage con precise reference (dai Public Enemy agli Enigma) hanno portato house, techno, trance, trip hop e molto altro ancora alle orecchie di ragazzini che mai avrebbero potuto partecipare a un rave o a una serata – ammesso che potessero immaginare di cosa si trattasse. E allo stesso modo ha abituato quelle orecchie ai suoni della TR-808 e della TR-909, campionati in molti di questi giochi per SEGA Genesis, probabilmente prima che gli stessi ragazzini ne avessero mai incontrata una. La producer Ikonika gli riconosce un importante debito per al genesi della dubstep, e del resto Go Straight farebbe faville in qualsiasi club anche oggi. Ma le melodie inquietanti dei suoi giochi hanno trovato anche altri estimatori, come Childish Gambino che in Hold You Down (2011) ha interpolato Slow Moon da Streets of Rage 2 (1992).
Per affinità tecnica, storicamente i produttori di elettronica hanno avuto una profonda sintonia con il mezzo videoludico e la sua musica. Ma oltre che prenderli a modello per ritmi, melodie o timbri, produttori come Kode9 o Fatima Al Qadiri hanno cercato di riprodurre nella loro musica la qualità immersiva e narrativa dell’esperienza sonica del videogioco, una strana forma di meditazione alla quale milioni di persone si sottopongono ogni giorno.
Non un lavoro mimetico, ma qualcosa di più profondo e trascendente, nel caso della musicista kuwaitiana, che perfino in Vatican Vibes riesce a farci sentire dentro un livello di Zelda, mentre il producer inglese ha letteralmente creato il suo ultimo progetto (Escapology) immaginando di musicare un gioco distopico sulla distruzione del Regno Unito. Forse è per questo legame viscerale, quasi spirituale, che negli anfratti di internet un brano come Aquatic Ambience dalla colonna sonora di Donkey Kong di David Wise è trattato al pari di capisaldi ambient, quasi un involontario anticipatore di vaporwave e seapunk – qualcuno giurerebbe che Daniel Avery l’abbia campionato in Wall of Sleep dal suo ultimo album del 2022.
La VGM può essere davvero formativa per un musicista che vi è entrato in contatto da bambino: nella serie di Red Bull Diggin’ The Carts, Thundercat spiega di aver imparato il funk dal tema Spring Yard Zone di Sonic (1991). A scriverla non è uno dei soliti compositori, ma un artista J-pop in piena regola, Masato Nakamura dei Dreams Come True, band da 50 milioni di copie vendute: c’è oggettivamente qualcosa da imparare. Fatto sta che il bassista sarebbe tornato a più riprese su Sonic, campionandone effetti e colonna sonora per ben tre volte (Special Stage; Them Changes; Show You The Way).
Nelle produzioni di Flying Lotus certi temi e certe soluzioni ritmiche tipiche del videogame sembrano entrati di prepotenza nel suo fitto corso di studi jazz e hip-hop. Talmente appassionato da aver creato un proprio gioco, Christmas Carnage, Ellison ha sì pescato a piene mani dalle biblioteche dei suoni videoludici: senti le sue produzioni per Thundercat; il remix di Love Lockdown di Kanye che campiona Silent Hill; o considera l’eredità chiptune nell’intero progetto Pattern+Grid World. Ma, andando più a fondo, anche un disco più complesso come Flamagra deve molto alla VGM, dalla mimesi di Heroes in a Half Shell (allusione alle Tartarughe Ninja) ai numerosi tentativi di far incontrare funk cosmico e VGM in un suono terzo.
A volte, invece, si vuole solo preparare un’insalata post-moderna di suoni. Street Fighter 2 meriterebbe interi trattati anche solo per la quantità di artisti che ne hanno campionato voci ed effetti: Thundercat (che a quanto pare ha usato o forse usa ancora “sho-ryu-ken” come suoneria dei messaggi) in The Turn Down; Skepta in Pure Water; Frank Ocean in Fertilizer (Frank ha anche campionato l’avvio della PlayStation); Dizzee Rascal evidentemente in Street Fighter; Nas in I’m On Fire; i Madvillain nel breve spazio dell’interludio Do Not Fire!; Bryson Tiller in Sorry Not Sorry (di nuovo Timbaland alla produzione). Kanye West poi ne ha fatto un uso smodato, in The Life of Pablo (Father Stretch My Hands Pt. 2 e Facts) e ancora nel singolo XTCY.
Questa pletora, tutt’altro che esaustiva, di sample farebbe della compositrice Yoko Shimomura, che si è occupata degli effetti e della OST, una delle artiste più influenti di sempre. È curioso allora considerare che anche lei ha fatto parte della continua catena di ispirazioni e restituzioni tra Giappone e Occidente, tra cinematografico e ludico: il tema di Ken riprende Mighty Wings dei Cheap Trick dalla colonna sonora di Top Gun; la marcetta pasodoble España Cañí di Pascual Marquina Narro è diventata il tema di Vega; il fischiettio di Per qualche dollaro in più di Ennio Morricone è andato a Fei Long. Ma la sua scrittura, così evocativa di luoghi lontani e basata sulla ripetizione di temi (morriconiana, per l’appunto), ha prodotto anche curiosi cortocircuiti: ad esempio, China Love di Janet Jackson, nel 2001, prende un sample da Legend of Mana di Shimomura, che a sua volta era un omaggio al gamelan indonesiano, come è chiaro dallo scampanare metallico del saron. I videogiochi sono luoghi di contaminazione e scoperta, miniere di sample da cui i $uicideboy$ così come Logic possono scoprire strumentali insolite. Per ogni Nuove Nike dei Club Dogo (2010) che pesca da Metroid una melodia nostalgica ma anche efficace, esiste un campo libero di scoperta, traduzione, tradimento dell’originale per creare qualcosa di nuovo (anche senza il peso intellettuale di un Burial). Così, la malinconica Sophia composta da Masashi Kageyama per il gioco Gimmick!, si ripropone sopra un tastierino spaziale nella coda della struggente USA di Jeff Rosenstock e non per il valore personale del brano originale, piuttosto oscuro ai non esperti di VGM.
La VGM, insomma, come musica a pieno titolo. È questa mentalità che negli ultimi 20 anni ha trasformato i giocatori in ascoltatori: uno studio di Deloitte del 2022 rivela che il 34% dei gamer è attivamente interessato ad ascoltare o acquistare le colonne sonore dei titoli ai quali hanno giocato. Ed è così che, a buon diritto, Nobuo Uematsu (compositore della serie Final Fantasy) è entrato nel giro dei grandi musicisti contemporanei: la sua opera viene regolarmente suonata da filarmoniche in tutto il mondo, e non da oggi – il primo triplice sold-out in America risale al 2004, vent’anni fa, a Los Angeles. Del resto, create in un’epoca di transizione dai grandi limiti compositivi alla possibilità di assoldare intere orchestre, le sue colonne sonore sono il non-plus-ultra del sampling: Danny Brown campiona Final Fantasy VII in Lincoln Continental (2011) e Rina Sawayama lo fa in Snakeskin (2020). Playboi Carti usa Final Fantasy VIII in Faster (2013) e 21 Savage in Immortal (2019), Kodack Black, che già aveva usato una versione pianistica di Final Fantasy per la versione originale di Patty Cake, ricorre Nightfall da Shenmue in Brand New Glizzy (2017). Le musiche di Uematsu sembrano pronte per cantarci o rapparci sopra, perché trasmettono il senso di grandi imprese e oscure minacce, gloria e tragedia: in pratica, un veicolo perfetto per la sfera emotiva del rap e non solo.
L’eredità della VGM nei confronti della musica popolare, insomma, non smette di aumentare. Di fronte a un “songbook” ormai di tutto rispetto, per esempio, non deve stupire il fioccare di progetti, concerti, eventi che celebrano le grandi composizioni del passato così come Quincy Jones e Frank Sinatra facevano con vecchi musical e film. Questo è lo spirito della 8-Bit Big Band, band americana capace di espandersi fino a 35 musicisti jazz capaci di restituire la sottile complessità di certe composizioni e di restituire un’emozione che spesso latita nelle trasposizioni pop della VGM: il divertimento. L’opera di questa come di altre formazioni che maneggiano il canzoniere ludomusicale, comprese le orchestre classiche citate sopra, non fa che confermare un’idea espressa bene dal jazzista Jon Batiste in un’intervista del 2019 al Washington Post: “[la musica dei videogiochi] Mi ha insegnato a livello subconscio i concetti di tema e sviluppo, e come creare temi accattivanti che vuoi ascoltare continuamente. Il tema non può essere fastidioso. Altrimenti, dopo che l’hai sentita 100 volte, vuoi soltanto mettere il gioco in silenzioso”. Ed è solo con la sua forza intrinseca e la popolarità immensa che una tradizione musicale può insinuarsi nelle cassette degli attrezzi del jazz, come si può sentire in Space Mountain di DOMi & JD BECK.
Da una parte tentativo di superare limiti tecnici, dall’altra grande calderone di idee e stili, la storia della VGM ha sempre qualcosa da insegnare a chi voglia rimescolare gli ingredienti nella speranza di trovare nuovi template creativi. Non è un caso che l’estetica chiptune, che ormai rimanda a suoni mai esperiti direttamente da chiunque abbia meno di 30 anni, continui a riaffiorare: Grimes in World Princess Part II o Tinashe in Company con i loro stillicidi di blip da questa parte dell’Oceano Pacifico; ma anche le superstar K-pop SEVENTEEN con GAM3 BO1 e gli NCT 127 con Punch dentro cui si risente Tekken e la sua complessa eredità rock, noise, industrial e house (in pratica, Chemical Brothers).
Il coraggio, l’eclettismo e l’ingegnosità di questa tradizione musicale non ha finito di dire la sua.