Amen Dunes – I Don’t Mind
Lo scorso venerdì è uscito “Death Jokes”, il nuovo album di Amen Dunes. È bellissimo. Caotico, inquieto, furioso, violento, che scappa disordinato come gli insetti quando allunghiamo le dita nell’erba. Ma è bellissimo, e ironico, come l’immagine del mondo che brucia.
“Death Jokes” nasce dopo quattro anni di gestazione, tra una malattia debilitante che ha colpito Damon McMahon, il trasferimento da New York, la nascita della sua bambina, le sue prime lezioni di piano fatte con un santone locale, infinite collaborazioni e infiniti inizi. È un album che in qualche modo prova a raccontare tutti questi eventi apparentemente sconnessi, confondendo chi lo ascolta e costringendolo ad arrendersi alla musica, al buio, alle sue braccia aperte, proprio come ci si arrende alla vita. In “Death Jokes” c’è una sveglia che suona, il pianto di sua figlia appena nata, il rumore stupido di una fotocopiatrice, dei canti di protesta. Un collage complesso di suoni, rumori ed emozioni, in cui ogni cosa è vera solo perché esiste.
Nell’ultimo brano, Poor Cops, c’è una registrazione di un’intervista di J Dilla in cui parla di campionamenti, disturbata da un fastidiosissimo strumento che copre le parole. Termina con lui che racconta di quella volta che voleva usare un campione dei Beatles: “Sample clearances, you know, they charged me 100000 dollars for that beat: where is the love?”, che è anche l’ultima frase del disco. “where is the love?”, esiste un modo migliore di finire qualcosa che chiedersi dove sia l’amore?
PS: C’è una canzone che mi piace molto, I Don’t Mind, mi piace perché mi sembra che mi tenga la mano e stringa. Dice questo: la vita passa, ma non importa. So it goes.
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