Poche settimane fa SIAE ha lanciato Italia Music Export, il primo ufficio in Italia dedicato alla diffusione oltreconfine della musica nazionale. Ci pensate che sinora – al netto di alcune esperienze regionali come quella di Puglia Sounds – non esisteva ancora un omologo italiano dei tantissimi bureau stranieri che sostengono e promuovono l’esportazione della musica del proprio Paese?
Finalmente, da un’idea di Nur Al Habash (ex-direttrice di Rockit), oggi anche in Italia gli artisti potranno accedere a finanziamenti per affacciarsi nei mercati musicali stranieri o organizzare tour all’estero. Non solo: il sito dell’Italia Music Export è anche un magazine che parla di musica italiana ma in inglese, e quindi si rivolge volutamente a un pubblico straniero.
Qualcosa si sta muovendo quindi, e per questo abbiamo contattato Nur per farci raccontare meglio l’ideazione e gli obiettivi del progetto.
Quando e come ti è venuta l’idea di Italia Music Export?
L’idea è venuta partecipando a festival e conferenze internazionali: tutti i Paesi avevano un proprio music export office per promuovere gli artisti, ma non l’Italia. Poi ho iniziato a parlarne con molti addetti ai lavori e tutti erano concordi sul fatto che ci fosse un vuoto, e che prima o poi andasse riempito.
Come ti sei interfacciata con SIAE per dare vita a questa idea?
Quando ho iniziato a pensare a come poter strutturare un ufficio di export musicale italiano ho prima di tutto guardato a come si faceva nel resto d’Europa: la maggioranza degli export office europei sono sostenuti dalle collecting society di ogni paese, quindi è stato naturale rivolgersi a SIAE. Ho semplicemente chiesto un incontro con loro per proporgli il progetto, e devo dire che sono stati da subito entusiasti e molto ricettivi, dato che in solo un anno è diventato realtà. Al momento quindi faccio parte anche io della grande e bella famiglia SIAE.
In che modo è strutturato Italia Music Export?
Per quanto riguarda il primo obiettivo, una delle nostre azioni principali consiste nel costruire una rete di contatti internazionali per poi metterla al servizio dell’industria italiana. Un esempio: per l’edizione appena trascorsa di Linecheck Festival a Milano abbiamo “combinato” molti incontri tra etichette italiane e professionisti stranieri.
In quanto al supporto ad artisti e operatori italiani, puntiamo di metterlo in pratica con boost economici (a breve saranno attive le prime call per ricevere finanziamenti) e workshop gratuiti durante i quali poter imparare l’ABC dell’esportazione musicale.
Infine, una gran parte delle nostre attività consiste nella promozione della musica italiana: attraverso il sito, i canali social, le newsletter e tutta una serie di attività “sul campo” cercheremo di dar voce a quello che succede nel nostro paese in campo musicale. Se ci pensi, se una persona straniera (sia un semplice amante della musica che un professionista) vuole capire che musica c’è in Italia non ha risorse: i contenuti in inglese sulla musica italiana sono davvero pochi. Per questo cercheremo di fornire una “base d’appoggio minima” per chi voglia andare oltre gli stereotipi.
Quali sono stati gli step da assolvere per la nascita del progetto?
C’è stato un lungo periodo di progettazione che è durato circa sei mesi, durante i quali si è cercato di delineare i confini del progetto e i suoi obiettivi principali. Successivamente altri sei mesi in cui abbiamo messo in pratica quel che avevamo progettato (compresi i due siti web, uno per l’Italia e uno per il resto del mondo) e in cui abbiamo incontrato moltissimi operatori italiani per capire di cosa, esattamente, c’era bisogno. In questo posso dire che l’Italia Music Export è stato costruito “sartorialmente” intorno alle necessità che gli stessi operatori e artisti ci hanno indicato.
Rispetto a esperienze circoscritte a singoli territori come quella di Puglia Sounds, in cosa si differenzia Italia Music Export?
Nella loro strutturazione la differenza è quasi solo territoriale: Puglia Sounds promuove il sistema musicale pugliese, mentre l’Italia Music Export estende le iniziative ai musicisti di tutto il Paese.
Tra le prime motivazioni addotte relativamente alla difficile esportabilità della musica italiana viene sempre citato lo “scoglio linguistico”. Secondo te è un limite reale?
Nel music business non esistono regole certe o verità scientifiche, anche quando si parla di export. Pezzi come Despacito o artisti come Stromae dimostrano che si può esportare musica in altre lingue che non siano l’inglese, e che quel che conta è la qualità della musica e la personalità dell’artista.
Certo è un po’ più difficile immaginare, chessò, un pezzo in norvegese spopolare in tutto il mondo. Ma penso che l’italiano possa facilmente godere della stessa accessibilità culturale dello spagnolo e del francese, quindi non escludo che nei prossimi anni ci possa essere una nostra hit in cima alle classifiche europee: un cantato in italiano solitamente è più caratterizzante e quindi incuriosisce delle orecchie abituate sempre e solo all’inglese.
Detto questo: cantare in inglese senza dubbio può facilitare l’export di un progetto musicale, ma allo stesso tempo mette l’artista sullo stesso identico piano dei suoi colleghi internazionali, e la concorrenza in certi casi può essere spietata.
Il problema invece non si pone con la musica senza cantato, come l’elettronica, la neo classica e sperimentale: non a caso generi musicali che al momento vedono l’Italia in una posizione internazionale molto meno svantaggiata del pop o del rock.
Ci sono esperienze di vostri omologhi stranieri che vi hanno colpito e desiderate mutuare?
Molti export office hanno iniziato le loro attività alla fine degli anni ’90, quindi hanno una discreta esperienza sul campo. Tra questi il Bureau Export francese è assolutamente esemplare: ha sedi in tutto il mondo e la loro rappresentanza durante i vari showcase e conference festival è sempre molto ben organizzata.
Un’altra esperienza che ci ha colpito poi è quella del Nomex, che non è altro che un consorzio degli export office dei Paesi del Nord Europa: Svezia, Danimarca, Finlandia e Islanda. Questi Stati hanno deciso di muoversi come un’unica identità a livello di marketing, cosa che secondo me è molto intelligente: organizzano serate di musica “nordica” in tutta Europa e anche a livello di contenuti e comunicazione online sono molto forti.
In ogni caso il livello medio di tutti gli export office europei è alto, abbiamo molto da imparare. A questo proposito sono contenta del fatto che, anche se è appena nato, l’Italia Music Export faccia già parte dell’European Music Export Exchange, ovvero l’organizzazione che riunisce tutti gli uffici europei.
Quali sono gli obiettivi a brevissimo termine che vi state dando in questi primi giorni di attività ufficiale?
La scorsa settimana siamo stati a Linecheck con una lounge / infopoint a disposizione di musicisti, operatori e curiosi. In più abbiamo presentato una serie di panel che sono serviti da introduzione al mercato musicale di Francia, Germania, Austria, Svizzera, Regno Unito: abbiamo ospitato professionisti da ognuno di questi paesi che ci hanno spiegato, in parole povere, come funziona il loro music business.
Guardando ancora più in là, stiamo finalizzando in questi giorni le call per finanziamenti che saranno diffuse a breve: sarà un modo semplice e veloce di avere un contributo economico e spero sia davvero d’aiuto a molti musicisti italiani. In ultimo, stiamo organizzando la presenza italiana ai prossimi showcase festival internazionali, Eurosonic e SXSW su tutti.
Te la sentiresti di citarmi alcuni progetti nostrani che secondo te potrebbero avere sicuro appeal internazionale?
No, ma non perché non me la sento, solo perché è umanamente impossibile capire se l’artista x può piacere all’estero o meno. Prima di tutto perché bisogna definire cosa si intende con “estero”: certo è molto diverso avere successo in Germania ed averlo in Cina; e poi perché il successo, indipendentemente dalla nazionalità dell’artista, dipende da tantissime variabili: la qualità della musica senza dubbio, la personalità e la capacità di comunicare un immaginario, il team di professionisti che lavora sul progetto, il budget a disposizione e infine la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
Quindi prendiamo la parte positiva della questione: virtualmente qualsiasi artista italiano può avere un gran successo all’estero, basta lavorarci bene e avere il giusto sostegno. E grazie a SIAE, ora finalmente questo sostegno c’è.