Godspeed è il nuovo album dei Cumino, uscito l’8 dicembre: il lavoro fa seguito ai due LP Tomorrow in the Battle Think of Me nel 2012 e Pockets nel 2014 e ai due EP Inner Voice e Just Melt.
Con Godspeed, il duo elettronico milanese vuole portarci in spazi vasti e oscuri ma stavolta con una mappa ben precisa che tirano fuori dallo zaino qui sotto per raccontarci il disco traccia per traccia.
ALPS
Luca: abbiamo registrato una serie di sessions con l’idea di usare chitarre classiche e suoni caldi. Quando ho scritto il pezzo stavo ascoltando molto Nils Frahm, in particolare il suo “Solo” album dove il piano sembra un contrabbasso vellutato dai legni e dalla presa diretta in una stanza. In produzione poi ci sono alcuni passaggi che mi ricordano “Tomorrow Modern Boxes” di Thom Yorke, la ritmica e’ stupenda.
Davide: quando Luca mi ha fatto sentire per la prima volta questo pezzo ho subito pensato che in quelle poche note suonate in quel modo così delicato, si nascondesse un micromondo. In fase di produzione ho cercato di mantenere il più possibile intatto il suono originale della chitarra e di creare un panorama sonoro che ricordasse un aliante in volo.
MERCY
Luca: lavorando ad alcuni passaggi quasi classici il fraseggio mi ricordava i “liebenstraum” di Listz. E’ un brano teso, quasi da soundtrack, musica da camera dove l’immagine è in movimento nel pieno della pellicola e non sappiamo come andranno le cose. Davide ha scritto parti d’archi molto delicate e credo abbia svoltato il pezzo.
Davide: la chiave di questo pezzo credo sia il contrasto tra le frasi di chitarra molto riflessive e i beats immersi in un riverbero che creano una stanza che circonda tutto.
DROP
Luca: questo era un brano sviluppato da alcune sovraincisioni che dovevano diventare altro, è per certi versi il seguito di “Tangier”, che è in “Pockets” il nostro album precedente a questo. Davide ha scritto una parte di piano semplice e bellissima e la coda tenuta da un groove di basso scuro, mi fa pensare a certi drammi in pellicola chiara in salsa Sundance Festival.
Davide: questo brano sin dall’inizio l’ho considerato perfetto per i titoli di coda di un film immaginario. La chitarra principale ha un suono molto particolare che sembra cantare.
ARCHIPELAGO
Luca: uno dei brani più anomali del disco, era nato da un mio provino con un refrain vocale e una struttura quasi dub, ascoltando molto “Ape in Pink Marble” di Devendra Banhart, ascolto che credo poi sia rimasto in qualche modo. E’ un pezzo solare, che sfocia quasi in cose morbide à là Shlohmo o Teebs.
Davide: questo pezzo è stata una sfida in fase di produzione perché volevamo mantenere una certa sospensione ma anche creare una progressione armonica che sfociasse in un ritornello spensierato. Tra i vari layer sonori è anche presente la registrazione della voce di una balena.
BLAZING
Luca: uno dei miei preferiti, scuro, jazzy, echi di Flying Lotus, Shigeto. Anche questo era un’esperimento verso alcune cose, che poi sono diventate altro. E’ un buon esempio di come in questo disco abbiamo cercato di rimanere asciutti senza eccessivi riverberi, avvicinandoci di più all’ascoltatore in termini di scelta della produzione, intima. I beat e i synth pensati da Davide sono sicuramente l’elemento che rende il brano attuale nonostante la sua struttura sostanzialmente jazz.
Davide: in questo pezzo lo stile di Luca si esprime in tutta la sua malinconia e intensità circondato da un ambiente scuro e fumoso che cambia tempo a metà.
PINK WHITE GLAZE
Luca: un pezzo molto dinamico, con un sapore di deserto e vento, forse il più aggressivo e sensuale nel contempo del disco.
Davide: questo brano è nato in modo strano ed è diventato forse quello più malinconico e da viaggio del disco. Lo trovo molto introspettivo.
HIPPOCAMPO
Luca: lo consideriamo un disco pieno di piacevoli anomalie rispetto al suono che abbiamo avuto finora. E anche qui, parte con un fraseggio che nella mia testa era un sample da “Where Have I Know You Before” di Chick Corea and Return to forever e si scioglie invece in una lisergia bluesy per poi diventare un pezzo
cadenzato di folktronica. Ci sono spazi e dinamiche create dall’elettronica, da certe sperimentazioni tedesche di Davide che lo tengono continuamente in sospensione.
Davide: con questo pezzo siamo partiti da una chitarra quasi blues che è stata man mano circondata da synth e stranezze che l’hanno resa più obliqua ma comunque mantiene un groove tutto suo.
SHELTER
Luca: è un po’ la sorella di ALPS per produzione, tentativo e suoni: è semplicemente dolce il modo in cui si infiltra nel disco in mezzo a tutto il resto. Bellissima con i suoi appoggi di piano sospesi e il suo refrain che pare un walzer dal sapore di spiritual jazz cosmico.
Davide: è il brano più positivo del disco e la chitarra di Luca ha guidato tutta l’atmosfera sognante in tre quarti. In questo pezzo abbiamo cercato molto l’incrocio tra una certa nuova classic music e la musica contemporanea.
LIPS
Luca: dolce-amaro con i suoi synth in prima linea che dialogano con le chitarre e un retrogusto di storia d’amore al bubblegum.
Davide: synth e chitarra che dialogano tra loro per raccontare una storia d’amore forse
EMPTY POOL
Luca: Empty pool è un brano totalmente lisergico, incrociano cose acustiche, cose elettriche e un clima generale incerto, di passaggio a nord-ovest in mezzo a una natura non sempre semplice, piove e c’è una nebbia strana che l’acqua non riesce a bucare.
C’è una tizia che balla dentro a una piscina vuota.
Davide: la produzione di questo pezzo è partita dalla ritmica spezzata e sorretta dal basso profondo che ha creato un’atmosfera da viaggio psichedelico. Le frasi di chitarre sono dei suggerimenti al viaggiatore che può disegnare il proprio mondo durante l’ascolto
STEPS
Luca: un pezzo che si avvicina molto a come siamo dal vivo, un’IDM ammalata di oceano, malinconica e minimale al punto giusto.
Davide: questo brano è stato forse il più difficile da chiudere perché ha una struttura molto aperta ma ci ha rivelato pian piano la sua natura e forse siamo riusciti ad interpretare un mix di melodia ed energia.