Andiamo subito al sodo. Lo scorso 5 ottobre sono usciti quattro dischi di quattro artiste americane: Cat Power, Molly Burch, Madeline Kenney e Adrianne Lenker. Quattro album, ognuno importante per diversi motivi, che hanno un denominatore comune, ovvero l’essere una fotografia lucida di come l’artista femminile si racconta in musica nel 2018.
Abbiamo voluto scegliere 4 canzoni, una per ogni artista. Le presenteremo sia a parole che con alcuni disegni firmati da Elisa Lipari di Tutte Collective.
Molly Burch – To The Boys
Molly Burch è una cantautrice americana che ha esordito solo un anno e mezzo fa con Please Be Mine, un album che pare uscito direttamente dalla playlist dei guilty pleasure di David Lynch: chitarra twang e riverberata, malinconia morbida, ma soprattutto una voce di velluto caldo con bassi clamorosi. La stessa formula è presente nel nuovo disco First Flower, album che ospita il singolo To The Boys.
La traccia ha un tocco latino tipico delle produzioni del Brill Building pop (periodo d’oro per la musica popular degli anni ’60 che ha elevato il teen-pop a fenomeno culturale) ma soprattutto un testo che è sia manata di classe che schiaffo tenue e mette Molly Burch – e con lei tutte le donne che abbracceranno questa canzone a mo’ di dichiarazione d’intenti – in una posizione di potere data, semplicemente, dal rifiuto degli stilemi machisti.
I don’t need to yell to know that I’m the boss/That is my choice/And this is my voice/You can tell that to the boys – versi da ripetere forti in testa quando qualcuno fa la voce grossa perché ha un minimo di autorità in più. Rispondete con grazia, fate sentire la vostra voce e il messaggio arriverà forte e chiaro – ecco tutta la sicurezza di cui avete bisogno. Molly ci dice questo e lo dice splendidamente.
Madeline Kenney – Overhead
Parlare di Madeline Kenney (ex pasticciera e ricercatrice di neurobiologia, ora anche cantautrice) e del suo disco Perfect Shapes emoziona molto perché per chi scrive è uno degli album dell’anno, un pasticcino ben lievitato che profuma di indie-rock, atmosfere dream – ben presenti nel disco precedente – e piccole ma sostanziose virate electro-pop.
Il brano Overhead apre il disco nuovo e fornisce le coordinate per interpretare l’intero lavoro, un album che tratta in modo squisitamente personale quesiti, argomenti e dubbi legati all’essere donna: le pressioni sociali, le aspettative, il dover costantemente farsi coraggio e darsi forza. Overhead è un dialogo sia interno che esterno, vibrante di emozioni, sulla percezione di sé nel proprio mondo e nel mondo che viviamo. Non solo, è un invito placido a porre una distanza necessaria tra questi mondi, a volte inconciliabili, e a abbracciare il proprio tumulto e i propri demoni (nella valenza positiva e negativa del termine).
Madeline lo fa nel video della canzone attraverso una danza catartica che la riconcilia con sé e le fa porre la domanda centrale della canzone: se quello che stiamo facendo è sbagliato agli occhi degli altri, allora perché ci pare di vivere nella luce (so what’s light I’m living in)? Contro ogni slogan motivazionale che ci esorta a spingere i nostri confini più in là, Madeline confessa i propri limiti e si riconosce. Da qui la luce che emana il suo canto e questo brano.
Cat Power – Woman
Certo che a dire a una come Chan Marshall, in arte Cat Power, che un album non funziona perché non suona come un disco di Adele, beh, ci vuole un pelo alto così. E ci vuole anche un gran stomaco a digerire il fatto che, una volta lasciata a piedi dalla sua storica etichetta, abbia dovuto combattere, donna sola, contro le confraternite chiuse della musica indie. Tutto questo, ahimè, è una storia vera ed è accaduta negli ultimi quattro anni a Cat Power, una delle più importanti voci della musica indie-folk americana degli ultimi 20 anni.
Più volte considerata una sopravvissuta (ai suoi demoni, alle malattie, ai cuori drammaticamente spezzati, a una sensibilità potenzialmente assassina), con il decimo disco Wanderer fa quello che i suoi fan speravano da tempo: ci dice che sta bene. In copertina troviamo tutto ciò che le importa ora: se stessa, la sua fidatissima chitarra Danelectro e suo figlio Boaz di tre anni (“a blessing from the sky”; afferma fieramente. Se siete davvero curiosi, il nome per il pupo le frullava in testa sin dal 2012 e significa “la forza è in lui”).
In questo disco troviamo il brano Woman, che è il manifesto liberatorio di uno spirito irrequieto e di un cuore selvaggio mai domo. Un canto che non si rinchiude in spazi oscuri e angusti mentre scappa dagli spiriti malvagi (come aveva fatto in Moon Pix, disco infestato per eccellenza della sua discografia), ma si apre ad un’altra voce, quella di Lana Del Rey, anima gemella musicale di Cat Power. Il verso cardine è Doctor says I was not my past/He said I was finally free ma è il mantra finale I’m a woman a rimanere scolpito nella pietra. Viene cantato con mille cadenze e sfumature: orgoglio, dolore, urgenza, sfida, calore. Dice Chan Marshall di questa canzone:
Lana is singing with me, loaning her credibility as a female who sings about darkness. It’s not sad Cat Power singing about her experience of being a woman. It’s “we are multidimensional beings”. […] Having another female opened the door for the listener to understand that I wasn’t alone in it. The subject wasn’t me, it was us.
Adrianne Lenker – Symbol
Non so se ci avete mai fatto caso, ma nel folk americano ci sono personalità che io amo definire mistiche, quasi come se un’aura sacra e di mistero promanasse dalla loro musica e dal loro canto. Penso a Elliott Smith, Jessica Pratt, Karen Dalton, Twain, Angel Olsen, Sufjan Stevens e Adrianne Lenker. Proprio gli ultimi due sono accomunati da due elementi: un’infanzia vissuta all’ombra di una setta religiosa (qualcosa che in America è più frequente di quanto possiamo immaginare) e un songwriting ricco di personaggi, nomi, luoghi, parenti, storie particolari che a me piace vedere come una costellazione che puntella e dona senso alla vita e al dare vita, una partecipazione mistica dove il divino ammanta tutto, piante, fiumi, animali, cielo e terra e infine persone, e li fa diventare simboli.
symbol è un brano del disco abysskiss di Adrianne Lenker, voce e anima dei Big Thief, band che da poco più di due anni ha conquistato un posto importantissimo nel panorama indie-rock mondiale, conquistando allo stesso tempo i nostri cuori. symbol è la naturale evoluzione di quella scrittura lenkeriana che abbiamo imparato ad amare nelle canzoni dei Big Thief: contemplativa, enigmatica, che sfugge alla conoscenza. Un segreto.
symbol si arrotola su se stessa come nello stesso modo in cui ci avvolgiamo nelle trapunte d’inverno, ha l’odore della legna che arde nel caminetto. Suona come un cantuccio caldo dove tenere la mano alla persona amata. È l’approdo in un luogo della memoria, passata e futura, la speranza di essere accolti a braccia aperte, riparati dall’abisso. Eccolo ancora, il segreto.
La dedica di Adrianne in abysskiss recita così:
Thank you to my family, friends,
and to their friends and families
and to earth and stars
Non c’è nulla di più semplice e intimo, piccolo e immenso.