A un primo sguardo, Angelo De Augustine e Jessica Pratt potrebbero sembrare fratelli. Entrambi biondi e californiani (il primo è cresciuto a 40 miglia da Los Angeles, la seconda è nativa di San Francisco), sono autori di un certo tipo di folk che ha bisogno di una chitarra e poco più per esprimersi al meglio.
Angelo De Augustine è conosciuto nell’ambiente musicale come protegé di Sufjan Stevens, una vera autorità in materia di folk intimistico: dal secondo disco Swim Inside The Moon è sotto contratto con l’etichetta che Sufjan gestisce insieme al patrigno Lowell Brams. Non solo: Stevens ha curato per lui alcune animazioni dei singoli, l’ha voluto con sé come opening act di un concerto del progetto Planetarium e, per lanciare l’ultimo disco di De Augustine, è pure comparso in due sessioni video, tutto intento ad accompagnarlo al piano.
Jessica Pratt ha una storia vagamente simile: la leggenda narra che Tim Presley dei White Fence, una volta ascoltata la demo di Jessica risalente al 2007, sia rimasto così folgorato da voler fondare un’etichetta per produrre quei tesori nascosti. La musica di Jessica, che è sempre stata per lei una valvola di sfogo tutta privata, inizia così a ricevere lodi un po’ ovunque. Per l’album del 2015 On Your Own Love Again si ritrova per la prima volta a condividere il palco con Kevin Morby, Kurt Vile, Beach House e Sun Kil Moon.
Oltre a queste prime analogie, c’è una ragione, o molte di più in realtà, per cui è interessante unire le loro storie. Tutto nasce dai loro dischi più recenti, Tomb di Angelo de Augustine, pubblicato l’11 gennaio 2019, e Quiet Signs di Jessica Pratt, che vede la luce l’8 febbraio dello stesso anno. Sia per Jessica che per Angelo è il terzo disco, un lavoro che nasce dopo un periodo di profondo isolamento che coincide per entrambi, curiosamente, con il Natale.
Per Jessica è quello del 2015, quando torna dal lungo tour di On Your Own Love Again e piomba in uno stato di scollamento dalla realtà. Si ritrova sola a Los Angeles, incapace di riempire le giornate che le paiono sempre più un blob di momenti indistinti. Senza neanche accorgersene, trascorre mesi senza vedere nessuno e senza scrivere canzoni fino a che decide, sull’orlo di un esaurimento, di cambiare aria e ritornare a San Francisco. Quiet Signs è il risultato della collaborazione con il polistrumentista (e compagno di Jessica) Matthew McDermott e il produttore Al Carson.
Per Angelo il punto di non ritorno è il Natale del 2017. Lo passa a casa a scrivere canzoni dedicate all’amata Kaitlin dopo aver ricevuto da lei una lettera che pone fine alla loro relazione. Sono giorni febbrili che gettano le basi per tutte le canzoni che compongono Tomb. Due mesi dopo, Angelo vola a New York per registrare il disco presso i Reservoir Studios, gli stessi dove aveva incontrato Sufjan Stevens anni prima, e si affida alla produzione di Thomas Bartlett, fido collaboratore di Sufjan e St. Vincent.
Per Angelo e Jessica il terzo disco rappresenta a tutti gli effetti un momento di svolta. Per la prima volta decidono di affidare la produzione a qualcun altro; per la prima volta si ritrovano in un vero e proprio studio di registrazione; per la prima volta ragionano sulla veste, sul suono e sui dettagli tecnici dei brani in modo più razionale e organizzato e meno di pancia.
Da sempre sono abituati a fare tutto da soli e a curare la registrazione come fosse un affaire privé in cui nessuno può mettere il naso. Angelo prova per anni a portare le proprie canzoni in uno studio professionale per poi finire a registrare il secondo disco in presa diretta con un 4 tracce degli anni ‘70 – direttamente dalla vasca da bagno di casa sua. Pure Jessica rinuncia ai canoni tradizionali di registrazione: grazie ad un vecchio registratore analogico, una specie di portable studio, riesce a catturare lo spirito effimero della sua musica in totale libertà, mantenendo quelle succosissime imperfezioni tipiche della registrazione in bassa fedeltà.
Ma ecco col terzo album accade la magia. Quello che può apparire inconciliabile – l’unione di estetica così lo-fi e studio professionale – prende forma. A dettare le regole, quelle a cui Angelo e Jessica si sono sempre sottratti, sono proprio loro. Per Tomb, registrato in soli cinque giorni, Thomas Bartlett riesce a confezionare un abito elegante e allo stesso tempo dimesso, semplice e sobrio. He has the amazing ability to add a lot and make it not sound like a lot, è il commento di Angelo sul suo lavoro.
Per Jessica è pressoché lo stesso anche se il processo di registrazione dura circa un anno e mezzo – tempi necessari per prendere le misure con Matthew, che ora l’accompagna al piano e ai synth, e con Al Carson. Proprio a quest’ultimo fa sentire alcune delle sue prime registrazioni, quasi a volerlo istruire sul suono da mantenere. E che viene mantenuto: in Quiet Signs c’è lo stesso calore del nastro e lo stesso fruscio di fondo che spalanca ogni brano su una nuova dimensione subacquea.
Tomb e Quiet Signs hanno un sound più pulito, certo. Tuttavia riescono a rispettare, come la più sacra delle promesse, il suono piccolo e intimo che è il motore delle canzoni. Perché la musica di Angelo e Jessica è un tipo di bellezza che non si deve mai snaturare: si trova già nella sua forma più autentica e si può solo preservare, senza cambiarne una virgola. Si tratta di una questione di equilibrio in cui ogni nota ha un peso specifico immenso nell’economia della canzone. Basta un solo spostamento millimetrico e…puff!, ecco che la magia scompare.
In entrambi i dischi sono però presenti alcuni suoni nuovi che potremmo quasi definire arditi: I Could Be Wrong avvicina De Augustine al territorio di Arthur Russell (con suonini della Penguin Café Orchestra); Tide, per chi scrive l’episodio più struggente e immersivo dell’album, ha un crescendo sublime e drammatico che ricorda vagamente Philip Glass; e ancora Somewhere Away from Home, la canzone più soul del lotto, ha il sapore della versione live di All of Me Wants All of You di Sufjan Stevens.
I cambiamenti presenti in Quiet Signs di Jessica Pratt non sono tanto di suoni quanto di bruma: se prima la foschia che avvolgeva naturalmente la sua musica aveva la consistenza di un pomeriggio piovoso passato a leggere le pagine giallastre di un libro, adesso vira verso il crepuscolo con un incidere rassicurante. Rimangono invariati la struttura scheletrica, il riverbero spettrale, la voce che tuba – ora arricchiti da un flauto come in Poly Blue, brano dagli echi quasi bacharachiani, o dall’organetto lontanissimo e dal piano centellinato di Fare Thee Well. Poi c’è Aeroplane, una canzone che Jessica recupera dal mazzo dei tesori sommersi per riconsegnarcela con una chitarra elettrica sorniona alla Mazzy Star.
Nessuna rivoluzione: in Tomb e Quiet Signs troviamo pochi lievi aggiustamenti. Lo spirito piccolo della musica è intatto e si basa su un gioco di sottrazione che toglie e sfronda il superfluo. Per Angelo si rivela una condizione fondamentale: solo abitando una dimensione piccola e a basso volume può piangere la fine di un amore e scavare in profondità. Angelo parla sottovoce di cose grandi – che sia forse l’unico modo? – e porta avanti per tutto il disco un concetto centrale, quello del “donare tutta la vita”, offrirla a qualcun altro, consegnare il proprio cuore su un vassoio d’argento. Eccolo, cos’altro vuoi?
Poi abbiamo Jessica. Muoversi in uno spazio piccolo vuol dire portare la musica altrove, mettere il naso fuori e mostrare il proprio mondo. Un mondo microscopico e invisibile animato da dettagli, solo in apparenza semplici, che “lentamente si evolvono” come diceva Erik Satie. Un universo fatto di pause, sospensioni nell’aria, vapori acquei. La sua musica è figlia del silenzio: elusiva, essenziale, impressionista. Richiede attenzione e pazienza per schiudersi.
Ma lo fa e mantiene la sua promessa. Ed è un miracolo di bellezza.
(per E.)
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Tomb di Angelo De Augustine è pubblicato da Asthmatic Kitty
Quiet Signs di Jessica Pratt è pubblicato da Mexican Summer
Illustrazione realizzata da Cristina Amodeo per Dance Like Shaquille O’Neal