“Sostiene Pereira di averlo conosciuto un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava”.
Io Pereira invece l’ho conosciuto un giorno d’inverno, un giorno qualsiasi con niente che sfavillava – eccetto lui. Il Pereira che intendo io è Giovanni, un cantautore di Trento che da poco ha fatto uscire il suo album “Mascotte”. Ora parlo un attimo di “Mascotte”. “Mascotte” è un vino frizzantino, un succo all’ananas, un bagno nel fiume, un mazzetto di rucola, un rimedio naturale. Insomma: una cosa buona ma con un retrogusto amaro.
Se il Pereira di cui parlo io è un ragazzetto di montagna che indossa vestiti più vecchi di lui e canta nostalgiche canzoni d’amore, il Pereira dell’introduzione è invece il protagonista di un libro di Tabucchi dal titolo “Sostiene Pereira”. L’antieroe per eccellenza, una persona comune e apolitica che con difficoltà e sofferenza ad un certo punto apre gli occhi sulle brutalità del suo tempo fino a scegliere la libertà di espressione, abbandonando la sua rigida – ma soprattutto rincuorante – malinconia.
Quello che accumuna i due Pereira è il cambiamento.
Entrambi una mattina si sono svegliati e hanno smesso di portare in redazione il loro “solito pane e frittata” come ogni altro giorno, il nostro Pereira ha smesso di cantare in inglese per abbracciare una lingua con cui può esprimersi più sinceramente, e ha cominciato a vivere.
Sul retro di copertina è riportata questa citazione: “La smetta di frequentare il passato. Cerchi di frequentare il futuro”. Possiamo usarla come chiave passe-partout per aprire ogni canzone di “Mascotte”.
“Mascotte” è un album elegante ma per niente formale, rifinito nelle cuciture e nei suoni, un disco che ci conforta e ci mette a nostro agio. Con una frase di Tabucchi: “Pereira bevve una tazza di caffè, fece un bagno, indossò la giacca ma decise di non mettere la cravatta. Però se la mise in tasca”. Un disco che ci dice che non si sa mai.
Ho chiesto a Pereira – il nostro, quello reale – di raccontarsi e di raccontare le sue canzoni usando il Pereira – all’inizio pingue e mesto, e alla fine idealista e involontariamente sovversivo – di Antonio Tabucchi. Ci accorgeremo soltanto alla fine che il libro racconta le canzoni tanto quanto le canzoni raccontano il libro.
Lascio la parola ai due Pereira, che di sicuro si conoscono benissimo.