Cat Power, una delle voci più inconfondibili del panorama musicale mondiale. Da più di un decennio musa imbronciata, scontrosa ed imprevedibile di alternativi di vario genere e convinzione e di stilisti in cerca di street credibility, di top models con velleità—a quanto pare Carla Bruni è una delle sue piu grandi fans—e di “ragazze interrotte” sopravvissute alle fatiche ed eccessi dei ´90.
Ritorna a 4 anni di distanza da quello che si puo di fatto definire il suo ultimo album “The Greatest”, capolavoro di riattualizzazione del Memphis-sound in puro stile Country-Soul, e questa volta sembra essersi decisa ad oltrepassare le soglie del mainstream. Lá dove si è trovata altre volte, piú o meno per caso, ma senza mai a riuscire a decidersi sul da farsi, finendo col sabotare la propria stessa carriera. Lo fa con un disco astuto, o come si usa dire in questi casi per tagliare corto, il suo disco piú Pop di sempre—grazie all´apporto produttivo di Philippe Zdar e l´uso di synths, drum machines ed Autotune—ma non per questo cinico, e non lontano anni luce, per stile ed ispirazione, dalle sue cose migliori. Lo dimostra il primo singolo “Ruin”, l´unico brano che vede una vera e propria band alle spalle di Cat che, per cause di forza maggiore o per cocciutaggine, ha composto e suonato tutti gli altri brani in splendida solitudine. La canzone è la piú immediata e coinvolgente dell’album, un po’ Nina Simone nell´intenzione ed un pó disco e ruffiana nell´esecuzione. Una di quelle canzoni, con le sue rullate di snare ad accentuare brusche fermate e beffarde ripartenze, che ti mettono un ghigno demente sulla faccia. Una “Rolling In The Deep” per gente che va avanti ad antidepressivi e sensi di colpa. Ancora più emozionale e melodicamente insidiosa è “Cherokee”, disperata dichiarazione d´amore pellerossa. La consolidata matrice blues della musica di Cat Power sostiene anche “Sun”, “3,6,9” e “Human Being” e le consente di estendere con sicurezza la propria consueta tavolozza sonora. Non tutte le ciambelle peró riescono con il buco, e “Nothin But Time” lo dimostra. Quello che doveva essere il pezzo forte del disco ed un omaggio dichiarato ad “Heroes” di Bowie si trascina per 11 interminabili minuti, suona come “Atmosphere” dei Joy Division al contrario suonata su di un pianoforte scordato e ricorda le composizioni piu banali e qualunquistiche degli U2. Nemmeno l´apparizione di Iggy Pop serve a salvare cio che salvare non si puó. Un occasione mancata all´interno di un album altrimenti riuscito, coinvolgente, e nella sua voglia di cambiamento, nel suo desiderio di comunicare ed emozionare, realmente coraggioso. Buona fortuna Cat!