Tra i dischi usciti oggi ne troverai uno importantissimo ed è In Her Bones, l’album d’esordio degli Eugenia Post Meridiem.
La giovane band capitanata dalla voce magica di Eugenia si presenta con nove tracce corpose, influenzate dalla psichedelia, dal folk, ma anche dal grunge degli anni ’90.
Si tratta di un album che poco se ne frega di correre dietro alle mode degli ultimi tempi e va per la sua strada sventolando in alto la bandiera dell’autenticità.
Per scoprire cosa c’è dietro ad ogni traccia, ci siamo fatti raccontare dai ragazzi tutte le curiosità che ruotano attorno a In Her Bones
INTRO
Un giro di chitarra che si ripete su due immagini. Bambini che giocano per strada, giocano con la strada, con l’asfalto, con le pietre, con tutto quello che trovano. Hanno mani, ginocchia e vestiti bianchi di polvere. Questa scena sopravvive alle epoche e ai luoghi, e mi riempie d’ispirazione, serenità e gratitudine; mi allontana dall’idea che l’umanità corra veloce, tracotante. E invece la vita si mostra lentissima, quasi immobile, silenziosa come un sole bianco che piano piano si insinua in un sogno ricorrente.
LOW TIDE
Low tide è un brano volutamente lineare, compatto, circolare. Parla del ritorno, del nascere sul precipizio, sull’orlo di millenni che si chiudono e si riaprono come maree che finiscono di ritirarsi e subito su se stesse si rinnovano. Low tide è il suono, il rombo di quel senso di eternità che accompagna l’uomo nella Storia, mano a mano l’uno uguale all’altra nel succedersi dei millenni. In questa prigione senza tempo, l’arte e la bellezza ci fanno ‘ritornare’ a noi stessi nelle trasformazioni che esse apportano all’interiorità, come destandoci in brevi lampi di lucidità dall’impatto ipnotico del mondo che dai primissimi momenti della nostra esistenza continua a stordirci.
BLUE NOON
Blue Noon è il primo brano mai stato composto da Eugenia/ che abbia mai composto. Nei suoi repentini cambi di tempo, nella sua frammentazione che spalma le influenze captabili dal pop più schietto al surf, fino ad arrivare sonorità psichedeliche vagamente anni ’70, Blue Noon è un brano scritto di getto, un tentativo di rappresentazione della forza poetica che il mezzogiorno (noon) iconicamente trattiene in sé come momento di estrema contemplazione e percezione, quasi fisica, del tutto che ci circonda. Tutto ciò che ad esso segue, è materia di creazione. Non è forse un caso che Blue Noon sia la primissima di altre canzoni, e che proprio da after-noon (post meridiem) prenda nome il progetto.
MAD HATTER
Mad Hatter è un brano denso, ma fluttuante, come incantato. L’incertezza di una scelta di vita, di una direzione da prendere si intreccia con il presentimento, l’intuizione di fondo che nel perseguimento di un istinto recondito, gli approdi si facciano inaspettatamente più concreti. Il cappellaio matto è una voce strana e flebile, che ho immaginato mi indicasse la mia reale volontà, senza tuttavia mostrarmi una sua realizzazione pratica nel mio futuro prossimo, e che fosse inoltre logica e spiegabile alla società.
Quella voce, quell’istinto è futuro che si autodetermina, un linguaggio eterno che dà voce all’interiorità, senza tempo, in grado di rivivere vite e culture passate, cogliere simboli antichissimi disseminati nel mondo. Di esso, come un ragazzino, the mad hatter con sguardo stupito ogni giorno carpisce i segreti e, seduto al tè collettivo di un pomeriggio di mezza estate, in quell’atomo di presente comprende in sé tutti i libri e le musiche che sono state scritte, tutti i quadri che sono stati dipinti, tutti i pensieri che sono stati pensati.
ANJOS
Questo brano è un omaggio a Lisbona e alla vita che lì ho vissuto. Anjos è un quartiere che si percorre in salita e termina in un miradouro assolato; solo arrivati in cima, la città si fa guardare. Costringe ad affacciarsi su tutto.
Ad Anjos ho intravisto il valore della libertà: di curiosità, di rifiuto e faticosa ripida ricerca della bellezza.
Dalla punta più occidentale d’Europa, se fai precipitare gli occhi giù dalla rupe, l’acqua è pesante, stanca. Porta tutta la fatica delle terre che abbraccia. Quando arriva, senza fretta e col passo di un gigante marino, si abbandona agli scogli, e sembra ballare e oscillare con le curve e con gli spigoli. Così Anjos anche negli arrangiamenti, alterna momenti di estrema calma e minimalismo strumentale a punte di pienezza e vivacità spensierate, quasi fiabesche.
MIDDAY SUN
Questo brano è tutto uno sgambetto, un rimbalzare schizofrenico, e volutamente divertito, su cambi di tempo, di generi e di atmosfere. Adoriamo suonarlo tra di noi e a partire da questo jammare all’infinito ; tuttavia non lo proponiamo quasi mai live, temiamo possa risultare troppo spezzettato e difficile da seguire.
Midday sun comunque, è un pensiero abbastanza dark sul sole del mezzogiorno, caldo, vitale e tetro, che acceca, uccide l’alba e illumina l’istante che muore, e ci fa sparire trai i suoi fiotti e le sue onde. (Decisamente tanto dark).
ANTHILL
Anthill parte in quarta su un giro vivace e ritmato, è un pezzo deciso e divertente da suonare. In realtà, per quanto riguarda il testo, è profondamente venato di malinconia (come testimonia poi la fine del pezzo), quella malinconia che bene si inquadra nell’idea che mi sono fatta della tanto citata ‘saudade’ portoghese. Credo di essermi figurata la nostalgia come il senso di scarto brutale dalla realtà, che si prova nei momenti in cui si fa della conoscenza di qualcuno la ragione vitale di un concentrato di tempo denso e colloso, di cui da subito si sa la fine, in quanto ‘periodo’ della vita. Quello che in seguito è possibile conoscere è solo il suo esistere, il suo respirare nel mondo un’aria che probabilmente si ha già avuto. Ho allargato la percezione del mio mondo, ho quadruplicato il senso di timore e nostalgia che i grandi numeri trasmettono. Il sapere di essere parte di un formicaio (da cui Anthill) che col suo esistere produce un falso silenzio, un vociferare, un brulicare ininterrotto, in un ricambio di voci continuo. Se dovessi immaginarmi il ‘suono’ della vita, credo che sentirei proprio questo.
SEABED
E’ il secondo pezzo che ho scritto e che abbiamo arrangiato. Un lungo sei ottavi, un pò scuro nella strofa, più dolce e brillante nel ritornello. Seabed è il fondale di ricordi e immagini di ricordi che permane fisso dietro agli altri pensieri, costituendo il supporto, la vertebra definitiva nel dramma mentale del giorno e della notte, che determina il nostro gusto e la nostra interpretazione della realtà. Mi immagino dunque un corpo che galleggia a pelo sul mare. L’acqua densa di immagini e ricordi, idealmente seziona in due questo corpo che si trova rivolto specularmente dentro e fuori il mare, diviso tra interiorità e realtà.
IN HER BONES
Ci siamo accorti che in fondo In Her Bones potrebbe essere la nostra traccia programmatica, che potrebbe racchiudere tutti i pezzi del disco e in un ascolto darne una panoramica. Potrebbe anche anticipare le nostre inclinazioni più recenti, le nostre ispirazioni future