Che il Coronavirus avrebbe avuto degli effetti catastrofici sul business musicale, specie nella dimensione degli spettacoli live, ci è stato chiaro sin da subito.
Ce lo aspettavamo che le misure restrittive messe in campo per limitare il contagio avrebbero portato inevitabilmente all’annullamento o allo slittamento di concerti, festival e instore in Italia, così come in altre parti del mondo. E ci aspettavamo anche che alcuni artisti, come Ghemon, avrebbero deciso di rimandare l’uscita del proprio album per non veder mandato all’aria tutto il lavoro che un nuovo disco richiede (all’artista così come all’intero team che gli sta intorno).
Parliamo di effetti prevedibili e inevitabili che, com’è chiaro, hanno avuto un impatto molto forte sul sistema musica, alterandone gli equilibri e mettendo a dura prova il lavoro di piccole, medie e grandi realtà del settore.
Ma quello che proprio non ci aspettavamo è che un virus avrebbe cambiato il nostro modo di ascoltare la musica.
Pensavamo: stare a casa vorrà dire dedicare più tempo all’ascolto di robe nuove, ci indurrà a fare playlist per sopravvivere alla quarantena e ad ascoltare i brani che più ci piacciono mentre lavoriamo. E invece no.
Stando a quanto riportato da Quartz, dall’inizio della quarantena in Italia sono crollati gli ascolti su Spotify, in particolare gli streaming relativi alle 200 canzoni più ascoltate nel nostro paese. Lo studio di Quartz riporta che mentre a febbraio 2019 gli stream totali della top 200 erano 18,3 milioni, a marzo il dato non ha superato i 14,4 milioni con un calo del 23% registrato al 17 marzo. Una tendenza, questa, che pare stia interessando anche altri paesi come Francia, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti dove gli ascolti della top 200 hanno registrato un calo proprio questo mese.
Tuttavia, come sottolinea Dan Kopf di Quartz, il trend non va letto come un calo complessivo perché, mentre la top 200 registra una flessione d’altra parte è possibile che gli ascolti in generale siano stabili. La spiegazione che Kopf ha fornito a questo fenomeno è che i giorni in cui in genere ascoltiamo più musica sono il venerdì e il sabato, quando (in tempi diversi da questo) usciamo a divertirci. Ora che il nostro stile di vita è cambiato e siamo tutto il giorno, tutti i giorni in casa, pare che siamo anche meno portati ad ascoltare quei brani che in genere mettiamo su quando ci divertiamo.
Non siamo ancora in grado di fornire una risposta precisa e speriamo sia solo una banale coincidenza senza fondamento. Dal momento che, oltre ai dati parziali di Spotify top 200 riportati da Quartz, non ci sono altri dati consultabili (altri servizi streaming come YouTube o Apple Music non sono soliti diffondere pubblicamente i loro dati) è difficile dire al momento quali sono (e se ci sono) gli effetti di questa quarantena forzata sullo streaming musicale.
Vogliamo quindi essere ottimisti perché di una cosa siamo sicuri: questo virus cambierà tutto ma non la nostra voglia di ascoltare musica.
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artwork via Complex