Se scrivi Kendrick Lamar To Pimp A Butterfly sulla barra di ricerca di Google, nella sezione “Altre persone vogliono sapere” leggerai le domande: “Why is To Pimp A Butterfly so important? Is To Pimp A Butterfly a masterpiece?”
La nostra risposta è assolutamente sì, e le ragioni non sono né fandom, né cieca adorazione. A suo tempo, avevamo già fatto un breakdown della tracklist e raccontato, brano per brano, come questo disco abbia marcato una milestone indelebile per la storica battaglia all’emancipazione sociale della comunità afro-americana. Dal giorno in cui per la prima volta, sullo scaffale del nostro negozio di dischi preferito o sulle nostre librerie digitai, abbiamo visto una foto in bianco e nero della family di Kendrick atterrare un giudice e festeggiare tra gold chains, bottiglie e banconote davanti alla Casa Bianca, To Pimp A Butterfly ha attraversato 8 anni di storia (e anche scrivendola, visto che Alright è diventata uno dei main anthems del movimento Black Lives Matter) mantenendo la promessa dell’impatto che K-Dot si prometteva di avere all’origine del progetto: “using my celebrity for good and show the brightness of life”.
Rispetto al precedente Good Kid, M.A.A.D City e al successivo DAMN., TPAB ha qualcosa di diverso. Certo, a chi non abbia mai letto i testi di questi tre mattoni potrebbe sfuggire una maggiore universalità dei temi, ma non è un problema. Perché anche l’orecchio più distratto potrà spalancarsi per quanto differenti, articolate e sfaccettate risultano le produzioni di questo capolavoro rispetto ad altri dello stesso genere.
Oggi cerchiamo di capire il perché di tutto questo e festeggiamo gli 8 anni di To Pimp A Butterfly tuffandoci di testa nell’immenso letto di produzioni che hanno accolto la storia del terzo album di Kendrick Lamar.
GLI STRUMENTI
La natura analogica e strumentale è forse la componente forse più evidente e distintiva di TPAB. Il disco vede la partecipazione dei nomi più altisonanti della scena jazz-funk-soul di Los Angeles già dal primo brano, Wesley’s Theory, dove compare il nome di Terrace Martin, che in questo disco suona tromba, sassofoni, tastiere e vocoder, oltre ad essere menzionato come producer praticamente nella metà dei brani del disco, e di Thundercat al basso e alle produzioni. Quest’ultimo era stato presentato all’entourage di Kendrick da Flying Lotus, dopo che i due avevano assistito alla performance di Kendrick all’interno del Yeezus Tour di Kanye West nel 2013. Come raccontato da Sounwave in un’intervista a XXL, la prima impressione sul personaggio di Bruner è di straniamento: “Abbiamo pensato: davvero dobbiamo portarci questo tipo in studio? E poi, una volta in studio, era tipo il più grande genio musicale del mondo. Conoscevamo già i suoi lavori del passato, ma vederlo live è stato tipo: tu stai con noi”.
L’intero album top-to-bottom è permeato di quel feel reale, non quantizzato, groovy, quello che solo dei musicisti in carne e ossa possono dare. Ma la traccia più emblematica in questo senso non può che essere For Free? Interlude, dove l’immenso Robert Glasper, a differenza di altre tracce a cui prende parte come Complexion (A Zulu Love), mette da parte la sua cifra stilistica più neo-soul e torna alle origini dei suoi primissimi e più puri album, come Canvas del 2005. Una surreale session fast-jazz che mai ci saremmo aspettati in un disco superficialmente definito “hip hop”, rinforzata dalla presenza di Robert “Sput” Searight, batterista degli Snarky Puppy.
Altra presenza gigante del gruppo è il sassofonista Kamasi Washinghton. Cresciuto insieme a Thundercat e a suo fratello Ronald Bruner (con i quali aveva registrato un album jazz dal titolo Young Jazz Giants nel 2004), Kamasi segnerà definitivamente la propria carriera con la partecipazione a TPAB, che gli permetterà di uscire dal buio e salire finalmente all’onore delle critiche, oltre che a pubblicare con Brainfeeder The Epic, il suo primo vero album solista.
LE VOCI
Le voci sono una componente chiave in questo terzo disco di Kendrick per il modo in cui sono arrangiate, che ricorda quasi quello di un coro greco che reagisce agli eventi lungo tutta la narrazione. Lo stesso Kendrick usa una serie di voci sempre diverse:
– the “lord of rings voice” – alta e pitchata (es: Institutionalized, For Sale? Interlude)
– the “drunk” voice – distorta e fuori controllo (es: u)
– the “yelled” voice – graffiata e rabbiosa (King Kunta, Alright, Hood Politics)
Oltre al lavoro della voce principale, voci topiche del disco sono quella di Anna Wise, che aveva già lavorato con Kendrick in Good Kid, M.A.A.D City, e quella di Bilal, che firma anche alcuni dei ritornelli più speciali come Institutionalized e These Walls. Il resto dei credits, poi, nasconde dei nomi surreali: oltre al già menzionato Thundercat e ad alcuni featuring espliciti come George Clinton, Rhapsody, Lalah Hathaway, Snoop Dogg e Ronald Isley degli Isley Brothers, tra i fitti nomi dei backing vocals si leggono quelli di Dr. Dre, SZA, Dave Free e addirittura Pete Rock, la cui voce risuona nel background di Complexion (A Zulu Love).
I SAMPLE
Facile dictu, sono i producer a tenere le fila di questa immensa quantità di materiale vocale e strumentale, cucendola insieme, come spesso accade, attraverso l’uso di campioni. In verità la quantità di sample impiegata in questo disco sembri inferiore rispetto ad altri dischi di Kendrick Lamar, per avere un’idea dell’ordine di grandezza, WhoSampled registra lo stesso numero di sample per Good Kid, M.A.A.D City e TPAB. Il risultato finale, dunque, consiste nelle scelte dei producer che, chiamandosi Sounwave, Flying Lotus, Pharrell Williams, Knxwledge, Whoarei e Terrace Martin, non hanno alcun problema a non lanciare il chop della vita alla Kanye West, ma impiegano i campioni in modo discreto e misurato per non alterare la natura fortemente analogica del suono del disco.
Tra i pezzi con i campioni più incredibili, non possiamo non citare l’apertura di Wesley’s Theory, con l’iconico “Every n***a is a star” campionato dall’omonimo brano di Boris Gardiner, i cori di All For Myself di Sufjan Stevens cupamente manipolati in Hood Politics, e i vocal sample di Lalah Hathaway usati da Knxwledge nella produzione di Momma (originariamente pubblicata nel mixtape Anthology del 2013 con il titolo So[rt]). Lo stesso Knxwledge in una storia IG di qualche anno fa, alla domanda “Come hai saputo che il tuo beat avrebbe fatto parte di To Pimp A Butterfly?” rispondeva: “Non sono stato avvisato. Non lo sapevo né avevo sentito parlare della cosa fino a quando anche voi lo avete sentito. True story”.