Testo di Federico Pucci.
La fine dei generi musicali è un argomento che non smette di essere attuale, più o meno da un ventennio a questa parte. Le sue cause e le sue conseguenze sono dibattute, ma agli occhi di molti osservatori, la contaminazione incessante e frattale determinata dall’abbondanza inumana di stimoli fornita da internet, combinata alla disintegrazione dei gruppi sociali, ha imposto una radicale riconsiderazione di come giudicare e incasellare quel che ascoltiamo. Il sito e servizio di analisi di dati musicali Chartmetric ha ipotizzato che la commistione di generi sia responsabile della percezione diffusa di un declino dell’hip-hop, arrivato al suo nadir commerciale proprio in corrispondenza del cinquantennale del genere – amara ironia.
Ma quello che per qualcuno è una prospettiva inquietante, per altri è la realtà quotidiana e culturalmente fertile da 13 anni suonati: sto parlando di Soulection, dove la contaminazione alla ricerca del sound del futuro è una filosofia solida, diffusa e apprezzata.
Quasi esattamente dieci anni fa, proprio su queste pagine si raccontava dell’ascesa straordinaria del fenomeno Soulection: una radio emersa trionfante dall’era dei blog ma anche una label che parlava la lingua di un internet in evoluzione; un progetto multimediale concentratissimo sulla freschezza della proposta capace di grande destrezza commerciale. Insomma, un’entità che riusciva a colmare tutte le esigenze di qualsiasi affamato di musica, ricoprendo nel modo più efficace e moderno il ruolo di qualsiasi etichetta e qualsiasi radio degna di questo nome – comportarsi da casa degli artisti e luogo di scoperta a prescindere dall’affiliazione con il proprio business, ponendo il focus sull’affinità artistica sopra ogni altra cosa. Mentre altre label cominciavano quel processo che le ha trasformate in agenzie di viaggio e uffici per sbrigare pratiche di artisti e musicisti capaci di gestirsi benissimo da soli, mentre le radio si arrendevano alle logiche da big data delle piattaforme streaming, Soulection sembrava prima di tutto interessata a manifestare nel mondo un suono, con l’intenzione di elevare nomi poco noti, agendo nell’interesse di una persona in particolare: l’ascoltatore.
Quel suono così tipicamente Soulection, l’hip-hop astratto che si avvicina all’ambient, che lambisce il club ma prova anche a estrarre pepite emotive dalla stessa miniera d’oro del vecchio soul, che realizza la promessa creativa del jazz e le aspirazioni globalista di una generazione con le radici mobili è almeno in parte conseguenza di quello stesso processo di globalizzazione e contaminazione che ha portato il rap fuori dall’America e l’ha reso un esperanto musicale: non più il codice di una comunità, ma la matrice attraverso la quale interpretare un cambiamento di costumi e mentalità tipico di tante società occidentali. Dieci anni dopo, le intenzioni del collettivo del sud della California non sono cambiate, ma il contesto si è ampliato e quello che fu un progetto quasi carbonaro si è trasformato in società commerciale. Al momento, lo show Soulection Radio è arrivato a quota 638 puntate, mentre Soulection ha da tempo cominciato a vendere streetwear e capsule collection, ed è a tutti gli effetti un brand di lifestyle. E non solo per i vestiti che smercia.
Per capire come siamo arrivati qui, nella migliore delle tradizioni dei biopic, dobbiamo fare molti passi indietro. Torniamo al gennaio 2011, al primissimo episodio di Soulection Radio. Introducendo la puntata, Joe Kay elencò tre elementi che ancora sono alla base della ricetta di casa: “futuristic beats, eclectic sounds, and soulful music”. Allora Kay era soltanto un nuovo arrivato a California State, interessato a partecipare ai lavori della radio universitaria K-Beach con le sue selezioni musicali. La storia di questi inizi l’ha raccontata lo stesso DJ diventato CEO in una lunga intervista a Zane Lowe per Apple Music, la piattaforma che a partire dal 2015 ha accolto a braccia aperte Soulection, accaparrandosi l’anteprima delle sue puntate settimanali.
Districare il modo in cui Soulection opera come radio, come label e come brand dal suo orizzonte artistico è pressoché impossibile. Prima di tutto perché il team non ha mai abbandonato una filosofia “dal basso” che l’ha reso insieme servizio di music discovery e community di ascoltatori. Con un gruppo Discord che conta oltre 13mila membri, e centinaia di migliaia di follower sui social, il brand californiano ha messo in pratica meglio di chiunque altro lo spirito collettivo e partecipativo della rete 2.0, dimostrandosi sempre in ascolto e sempre in dialogo. Anche la sua proverbiale prolificità e iperattività è in parti uguali scambio incessante di suggerimenti e spirito d’iniziativa commerciale: una combinazione necessaria per farcela dentro un mercato strabordante di offerta. A testimonianza di questo c’è l’attenzione per il proprio pubblico dimostrato nelle puntate composte interamente da scelte popolari proposte tramite Discord, che fanno capolino con discreta regolarità tra i vari take over di DJ, musicisti, produttori amici del programma. Cosa non da poco per chi si è fatto una fama di tastemaker.
L’orecchio tesissimo verso le novità che sbucano dal basso è del resto un marchio di fabbrica di Soulection. Basta dare un’occhiata allo storico di selezioni di assoluto rispetto e straordinaria lungimiranza passate di settimana in settimana, nei mix di due ore della radio: Soulection, tanto per fare pochi esempi, consigliava Anderson .Paak e Kaytranada parecchi anni prima che entrambi potessero vantare milioni di ascoltatori e qualche Grammy sullo scaffale; spingeva Brent Faiyaz e Sango, percependo in anticipo cosa avrebbe catturato l’attenzione di un ascoltatore tanto nostalgico dei vecchi mixtape quanto attento alla cornucopia di proposte musicali contemporanee. Se si dovesse trovare una sola radice estetica e filosofica nell’approccio dei mix di Soulection, si potrebbe risalire all’esempio di J Dilla. L’impronta meramente stilistica del produttore sul gusto hip-hop del suo tempo (tristemente troppo breve) e degli anni a seguire non si può riassumere qui. Ma per il nostro discorso è ancora più importante l’ethos del suo lavoro: la capacità di venerare il sound di un passato esaltato nostalgicamente, e allo stesso tempo la volontà di frantumare l’integrità di quel patrimonio per creare qualcosa di proprio, di personale, di avveniristico.
Ecco cosa sono i beat futuristici di cui parlava Joe Kay nel lontano 2011: non l’immaginazione di un futuro improbabile, sintetizzata in modo metaforico tramite mezzi tecnologici all’avanguardia (quel futuro che sarebbe scomparso dall’orizzonte anche secondo Simon Reynolds); bensì, un futuro guadagnato centimetro su centimetro, usando la tecnologia del presente per porre nuove basi musicali per un patrimonio condiviso di scambio culturale e puro godimento. E qui rientrano gli altri due elementi: i suoni eclettici e la musica soulful. Il paradigma di Soulection non è mai stato fondato né sull’etnocentrismo californiano né su un modernismo stantio: forse può bastare come esempio il fatto che la primissima release di un artista, nell’aprile 2011, fu 24 di Ta-ku, musicista e produttore australiano.
Allo stesso modo, la proposta Soulection non si può centrare sul genere, ma su un feeling – questo sì parecchio californiano. Il suo eclettismo di fondo, che può portare un episodio dalla house liquida al neo-soul pettinato, dall’afrobeats muscolare al nu jazz baffuto, dal dub mesmerico all’R&B non euclideo, è conseguenza di un fattore tanto semplice quanto ineffabile: il gusto delle persone coinvolte nella selezione, che privilegia un mood rilassato e assolato, le texture sonore granulose, i tempi lenti – gli edit slow mo di successi anche pop sono un elemento storico delle sue tracklist. Insomma, attraverso una curatela precisissima ma enciclopedica Soulection sembra aver inquadrato in modo infallibile una vibe molto millennial: la promessa continuamente rimandata di un futuro solido, l’instancabile preparazione per una conquista di spazio e voce, la tensione irrisolta fra consolazione nostalgico ed esplorazione nell’ignoto.
Ascoltare una puntata di Soulection Radio significa vedere realizzato in forma sonora un ideale utopico di cosmopolitismo che considera come compatrioti Bryson Tiller e Shaka Lion, Yussef Dayes e Phabo, Tems e Smino. Mentre naviga tra capsule collection e nuove forme di comunicazione (come il canale Twitch che ha tenuto viva l’attenzione nel mezzo della pandemia), l’obiettivo di fondo resta ritrarre un’umanità che non vede confini, che comunica nella lingua universale della musica pur apprezzandone la ricchezza di dialetti. Tutti quanti – artisti, DJ, ascoltatori – sono compagni di un’unica proiezione verso un futuro tanto vicino da sembrare già qui, dove si può ancora scoprire qualcosa senza bisogno di slanci irrealistici in una frontiera che non esiste: la frontiera è a un passo, basta arrivarci bene. Quando sentirai il nuovo album di Kaytranada o dei NxWorries potrai arrivarci da qualsiasi direzione: ma se ci arrivi dalla strada segnata 13 anni fa da Soulection non ti smarrirai anche quando sentirai qualcosa di inaspettato.