In queste due settimane abbondanti dall’uscita di Chromakopia abbiamo avuto modo di assorbire gran parte del contenuto di un disco molto diverso rispetto a quelli di Tyler, The Creator che abbiamo imparato a conoscere in tutti questi anni.
Stiamo parlando di un artista che è sempre stato se stesso dal giorno zero, eppure scopriamo solo oggi che da quel giorno zero, quello stesso artista ha tenuto nel suo cassetto dei segreti una serie di paure, timori, fastidi e ansie che ai nostri occhi avrebbero potuto renderlo più fragile. Dalle innumerevoli e multiformi recensioni a disposizione, poi, abbiamo appreso che il tema dell’età che avanza è il perno principale del disco, perno che in effetti accentra molta dell’attenzione dei temi generazionali millennial a cui Tyler si mette a disposizione: la paura di perdere i nostri genitori, la pressione psicologica di sentirci indietro rispetto a persone coetanee, e il timore eterno del giudizio delle altre persone sulla nostra vita, che nel suo caso specifico si traduce nell’intrusività del pubblico nella sua sfera privata.
Se per un attimo, però, ci allontaniamo dal mirino, ci sono due elefanti (bellissimi) nella stanza di cui si è ancora parlato molto poco, ma che per un artista uomo che viene dall’hip hop, costituiscono una mossa di rottura importante: non solo, infatti, la tracklist è costellata di nomi femminili, ma anche i racconti del disco lasciano moltissimo spazio a riflessioni su temi importanti del femminile contemporaneo, con un focus gigantesco sulla maternità.
Avevamo già visto fare questa operazione a Kanye West, con Donda (te l’abbiamo raccontata qui), ma qui l’approccio è molto diverso. È vero, i racconti di Tyler sono filtrati dall’occhio di un uomo e di un figlio, e possiamo certo individuare molti errori di ingenuità, ma più che prese di posizione sul piedistallo, Tyler si mostra completamente coinvolto in una serie di argomenti che a un orecchio superficiale sembrerebbero riguardare esclusivamente la figura femminile e in particolare della “madre”, ma che invece da un certo punto della vita in poi riguardano tutte e tutti senza distinzione.
Hey Jane, il problema di una gravidanza indesiderata che potrebbe essere l’ultima, accompagnato alla possibilità di essere un’altra madre single.
Judge Judy, la passione raccontata liberamente, senza la necessità di preservare una figura angelica, illibata e monogama della donna che ha amato.
Take Your Mask Off, il dissidio interiore di una donna che dopo la maternità vede la propria persona oscurata e risucchiata dall’incombente ruolo di “madre”.
Like Him, una donna che sbaglia e che ha il diritto di farlo, in nome delle battaglie che ha vissuto per restare viva.
Le donne nel racconto di Tyler sono personaggi con un’aura umana, non divina. Intervengono nei momenti chiave della storia illuminando l’intreccio del percorso di Tyler (che, ricordiamo, sta comunque raccontando di sé e della sua vicenda personale), ma lo fanno con l’importanza di chi fa 100% parte degli eventi, di chi non plana con un ruolo fatale e materialista, o peggio ancora divino, austero e interventista. Le donne di Chromakopia hanno pieno spazio per raccontare il loro punto di vista, e sono dentro la storia tanto quanto Tyler.
In questo senso, i nomi femminili che colorano la tracklist del disco e che sono addirittura più numerosi della loro controparte, costituiscono un’altra chiave di lettura fondamentale per la comprensione di questo disco onestissimo. A questi nomi femminili poi se ne affiancano altri che, anche se non vengono citati espressamente all’interno del racconto, possiamo identificare con sufficiente certezza senza speculare troppo.
Abbiamo già parlato abbastanza, ma un giretto veloce nel dettaglio dei nomi di tutte (o quasi) le donne di Chromakopia, non può che completare il quadro di quello che diventerà l’ennesimo highlight della discografia di uno degli artisti fondamentali della scena contemporanea.