È passata poco più di una settimana dalla conclusione del Club To Club 2012 di Torino e DLSO ha finalmente raccolto tutti i pezzi per farvi sapere che c’era, anche se non era in pieno possesso delle sue facoltà e allora non è responsabile di tutto quello che trovate scritto a seguire. Vi regaliamo oggi il diario di bordo delle due serate conclusive del festival più atteso dell’autunno italiano, quello che da 11 anni delizia i party harder con una line-up sempre paurosamente sul pezzo e una qualità complessiva che ci proietta a pieni voti nel panorama europeo musicale meglio blasonato. Siamo stati presenti a John Talabot, Sbtrkt, Rustie, Shackleton, Ital, James Holden e l’attesissimo Flying Lotus. Gli altri, che detti così sembrano dei loser che abbiamo scelto di snobbare, sono Apparat, Marcel Dettman, Nina Kraviz e Scuba che suonavano ad appena 40 metri da noi, ma se non hai il potere di sdoppiarti, purtroppo le distanze non contano. Beccati il report a più mani dei pejo partecipanti del #C2C 2012.
Sabato 10 novembre:
ore 16:00: da che mondo e mondo gli appuntamenti di gruppo non vengono mai rispettati da tutti. Io, nonostante non brilli per puntualità, arrivo stranamente prima di tutti i miei compagni di viaggio. Non l’avessi mai fatto.
ore 18.45: partenza effettiva per il viaggio della perdizione. Otto persone divise in due macchine. Maschi contro Femmine, come nei libri di Moccia o nei film di Fusto Brizzi. Mai fermarsi allo stesso autogrill dove sta facendo sosta una scolaresca di lesbiche del Torino FC pena il rischio di trovarvi involontariamente coinvolti in ammucchiate nel bagno.
ore 09.30: dopo diversi giri a vuoto per una città che non conosci che ti riportano inevitabilmente con la memoria ai viaggi estivi con la famiglia in Versilia armati di mappa cartacea 6 metri x 3 e senso dell’orientamento ai minimi storici, arriviamo all’ormai mitico Hotel Valentino du Parc. Non chiedetemi come abbiamo fatto ad impiegare tre ore per percorrere il tratto Milano-Torino, chiedetemi piuttosto perché il soffitto della nostra stanza fosse completamente ricoperto di glitter dorati. Btw it was the best thing of the whole journey.
ore 10.00: non provate a mangiare insalata russa e pollo alla diavola prima di andare ad un festival. Soprattutto se sono già le dieci di sera e il vostro migliore amico è il vino rosso della casa.
ore 01.00: a quest’ora due interrogativi fanno a pugni nella mia testa. #1 Perché ho dato priorità all’insalata russa invece che a John Talabot (era giá andato via, sigh). Mi calo allora mentalmente nella gloriosa miscela di house, techno ed elettronica che le sue calienti mani spagnole sanno pompare, ma non c’è più nulla che io possa fare se non rosicare e bestemmiare santi a rotazione. #2 Non saprò mai se Nina Kraviz è figa come sembra o è solo tanto aiutata da his majesty Photoshop. In ogni caso sarei stata troppo lontana dal palco per poterlo decidere e, da lontano, si sa, sembrano tutte fighe. Per approfondire la sua performance, leggetevi le battute cattive di XLR8R. Non vi spoilero nulla, vi suggerisco solo un commento: è stata paragonata a Lady Gaga e a Madonna. Scoprite in che senso però. Accanto a lei, durante la performance, uno strepitoso e carnascialesco Hard Ton, che però nessuno pare aver riconosciuto, neppure gli amici di Sentireascoltare, che l’hanno definito goliardicamente un omone (s)fasciato in stile sadomaso.
Ad ogni modo non dispero, il mio amico Noumeno che qualche ora prima ha suonato al Caffè Spazio sotto il moniker Nothing Left To Say, è stato presente al set di Talabot e me lo racconta così:
“In sala rossa i culi shakerano a dovere scanditi dai ritmi lenti del live di John Talabot. Il produttore spagnolo ha fatto i compitini, e invece di venire solo col Mac si è portato un sacco di roba dietro: synth, batterie elettroniche, un essere umano (Pional) and so on. Il live risulta molto piacevole: John e socio non sembrano eccessivamente impegnati sulle loro macchine, ma noi facciamo finta di non aver visto perché gli vogliamo bene, e poi sono comunque già impegnati a cantare i loro coretti à la MGMT. I pezzi suonano sexy come del resto anche nell’album e la gente cerca di avvinghiarsi a vicenda.”
Intanto io e i miei commensali, seppur appesantiti dal cibo piemontese offertoci dalla rustica trattoria nei pressi del Lingotto, sgomitiamo tra hipster incappellati come fosse dicembre in Alto Adige e balene che con la complicità della folla e dell’oscurità hanno intanto denudato le tornite braccia budinose come neanche il sedere di Kim Kardashian dopo il cenone di Capodanno. È in questi momenti che ti ricordi quanto bene vuoi a tua madre per non averti fatta alta 1 metro e ottanta e con i bicipiti spessi il doppio per poterti fare largo tra la gente. Poco male, arrivo rovinosamente strattonata, ma finalmente vittoriosa, sotto al palco per sentire il mio S U P E R L A T I V O idolo dalla maschera tribale. SBTRKT è il classico dj che ti sorprende senza sorprenderti davvero: è sempre bravo esattamente quanto ti aspetti e le aspettative su di lui sono maledetissimamente alte. Impila una dopo l’altra tracce che puoi riconoscere e ballare alla seconda nota, mandando la folla in estasi con l’onnipresente Wildfire dei Little Dragon e con quel goiellino di pezzo tratto dall’ultimo lavoro di Flying Lotus Putty Boy Strut. La gente riconosce tra le altre tracce autografe Hold On e scoppia di entusiasmo canterino. Qualcuno ha detto che sembrava suonasse col Traktor e che l’unica vera caratteristica ancora rimasta intatta nelle sue performance è la maschera che l’ha reso famoso, a me è sembrato onestamente uno dei migliori djset del festival. 2step e house a tinte dubstep che come lui nessuno mai. Scroscio di applausi per un artista che avrei fatto suonare un’altra intera ora.
ore 02:30: Rustie entra in scena con tutto il suo fare scozzese. Per un’inspiegabile ragione compresa tra la timidezza assoluta e il Mac-l’ho-già-trovato-attaccato-lì, si posiziona sull’estremo lato sinistro del piccolo palco, nascosto dietro una pila di casse che mi impediscono di vederlo e di assicurarmi che sia davvero lui. Parte il set, la cassa che prima lo nascondeva dalla mia posizione ora tuona e sposta gli oggetti con le sue vibrazioni. Non è un’esagerazione, si fatica a respirare con lo scheletro che ti palpita dentro. Rustie si rivela impeccabile nelle sue sonorità elettroniche sincopate, 2step e wonky à gogo per un pubblico affamato di bpm spinti oltre il muro del suono. 60 minuti pazzeschi, trascorsi passando da una sala all’altra nel tentativo di beccare l’incipit del set di Marcel Dettmann che pure non delude mai. Ascoltando Rustie e vedendo la reazione che scatena nella nutrita folla intorno a me capisco perché quest’anno il premio First Album Award del The Guardian è finito dritto dritto nelle sue mani, scavalcando gli ottimi debutti di James Blake, SBTRKT e Jamie Woon. Gusti personali a parte, forse c’è ancora un metro di oggettività nell’opinione musicale più autorevole, non del tutto annebbiata dalle tendenze usa e getta del momento.
ore 03:30: Italpaga lo scotto di essere in scaletta dopo Rustie. La sua tech-house, quasi mentale per certi versi, fa calare l’umore di un pubblico preso strabene per lo scozzese che lo ha preceduto e che ha bisogno di mantenere alto il mood per non ritrovarsi in un vorticoso stato di depressione post-parto. Visual disastrosi alle sue spalle, che seguono il ritmo dei suoi passi, garantiscono uno psichedelico effetto Windows Media Player che poco hanno gradito gli esteti della scena. Dai, Ital, l’anno prossimo ti piazzano dopo Nina Kravitz e fioccheranno opinioni in tuo favore.
ore 04:30:
Schackelton vs James Holden. Dura lotta a chi ti fa cadere per primo i gioielli di famiglia per terra. Ammetto che qui molto conta il mio gusto personale, ma ho trovato che un appiattimento generale di sentimento e di stile si impossessi di questa parte finale della serata. Schackleton si mostra da un lato eccellente nel non perdere la frangia più resistente ma anche più stanca della folla, dall’altro ci concede un suono ondulato per tutto il tempo del set, noise e noioso insieme, ipnotico, scuro e intellettuale come gli occhiali da matematico che si porta simpaticamente dietro. Per dimostravi però quanto siamo democratici e quanto il gradimento di ciascuno sia opinabile, leggetevi il commento del buon Noumeno che avete conosciuto poco prima:
“Il live di Shackletonè sicuramente la conclusione perfetta per la serata, ma volendo anche la conclusione perfetta per la settimana, il mese o la vita. Il set è incredibilmente organico, bisogna seriamente impegnarsi per capire il momento in cui un pezzo diventa un altro, eppure nell’arco di un’ora le tracce cambiano eccome. Su un sottofondo di suoni riverberati, campioni vocali e diavolerie inquietanti direttamente dall’universo affianco, Shackleton tesse freneticamente una trama di synth arpeggiati, xilofoni e percussioni, che mi staccano il lume della ragione dal collo e lo portano su negli angoli tra mura e soffitto della sala rossa del lingotto fiere. Oltre a regalarmi un trip intergalattico, il buon Sam riesce anche a farmi tremare e saltare le caviglie più di tutte le casse in 4/4 della serata, pur essendo la sua una ritmica estremamente complessa e spesso parsimoniosa con le basse frequenze.”
A James Holden va il merito di riuscire a far emergere da antri dimenticati/sconosciuti del padiglione Lingotto le più diverse specie umane mai concepite: Torinesi dall’aspetto irsuto e mascolino neanche fossero reduci da una cura ormonale, bagnanti di mezz’estate con canotta slabbrata e occhiali segnaletici per riconoscersi al primo colpo come durante i pellegrinaggi a Medjugorje, coppie improbabili composte da Dio sotto effetto di allucinogeni che deve poi averle dimenticate il giorno dopo. La sua IDM riesce a far ballare solo gli infaticabili superstiti della sala il cui collo vive ormai di vita propria. Tuttavia James è un ragazzo che con le donne ci sa fare almeno quanto con la musica e allora ti piazza Plastic Bertrand – Tout Petit La Planete per chiudere la terza serata di un clamoroso festival alle 06.00 del mattino. Limoni a manciate abbondanti, abbracci soffusi e tutti pronti per andare a fare all’ammore con la pioggia che batte fuori la finestra (o il finestrino per chi s’è arrangiato in macchina).
Per me e i miei compagni di viaggio niente ammore, ma solo after ai Murazzi come se non ci fosse un domani. E’ bello ballare 8 ore di fila in un luogo alieno, buio ed enorme, sapendo che il mattino dopo t’aspetta una meravigliosa alba fosca e fredda lungo il fiume più lungo d’Italia. Hai la sensazione di essere risalito dalle tenebre di un mondo parallelo e allora i party harder più sfrenati si confondono con i panettieri alle prime ore di lavoro. La città è grigia e il tassista mi stringe il cuore esclamando ”a sentire il vostro riso, mi vien voglia di tornare giovane anch’io”.
Domenica 11/11(a cura di Andrea Pagani, il nostro amico skater vegano):
Surreale! Questa è la sensazione che ti rimane dentro dopo aver assistito alla strepitosa performance artistica di quello strano essere partorito dalla carcassa morta dell’american dream e che si fa chiamare Flying Lotus, per gli amici FlyLo. Ma facciamo un passo indietro. Cervella fritte causa scasso della sera prima, usciamo dall’albergo verso le 12:00 dopo un’oretta buona di sonno (dovrebbero cambiare le fottute regole del check out dagli alberghi). Spaesati e disorientati ci aggiriamo in un’accogliente Torino che ci fa ricordare: “Hei! Ma esiste anche Torino, com’è che non ci andiamo mai??”. Il pomeriggio scivola veloce portandosi via quei pochi raggi che siamo riusciti ad intravedere prima di sera. Brunch easy al DDR, localino molto rilassato e amichevole, a base di frullati di frutta ripiglio e dj set chill a cura di PiemonteGroove Young Talents, che azzeccano in pieno il mood generale anche se sembra a volte di sentire una compilation Buddha Bar.
Arriva sera e ci avviciniamo alla location. Prima doveva essere un teatro, poi un castello, poi una villa e infine si rivela essere una cosa più simile ad un concessionario fuori Torino che altro. “Don’t judge a book by its cover” diceva Tim Curry mentre sgambettava in collant cantando in TRHPS. Daje se hai ragione Dr. Frank-N-Furter! Piano piano gente giusta che ci crede, o almeno così sembra, si raduna sotto al palco e la grossa stanza si riempie di calore. Siamo tutti in attesa di vedere che cosa mai sarà dal vivo FlyLo con tutte queste entusiastiche attese. Inizia, ed ecco che, quando credi di averle viste tutte, rimani basito. Succede che all’improvviso tutto prende vita e musica e video si fondono in uno spettacolo tridimensionale che vede lui al centro di un visual dal gusto estetico impeccabile, che cambia seguendo il ritmo del suono. Dal punto di vista musicale ciò cui assistiamo è di un livello superiore. FlyLo ci accoglie nel suo mondo onirico fatto di suoni eleganti, pazzi ed evoluti che ti cullano e ti strattonano ininterrottamente in un continuo mix di ritmi e melodie perfetti. Ne esce un risultato stupefacente, un vero e proprio spettacolo che taglia i ponti con il passato e guarda al futuro.
#C2C12 finisce così. Appena fuori Torino, gradualmente, con gente sorridente, persone felici e immancabili paninari che, dall’alto della postazione sui loro camioncini eurasiatici, si bullano di te se chiedi un panino vegetariano. Usciamo piacevolmente storditi, salutiamo chi dobbiamo e facciamo scivolare dolcemente l’autostrada fino a Milano, soddisfatti e orgogliosi del fatto che, per assistere a tutto questo, non siamo dovuti volare in qualche altra nazione.