Domani esce il nuovo disco degli Amari, Kilometri, a tre anni di distanza dal precedente Poweri.
Approfittando di quest’occasione da celebrare (perché per i fan storici degli Amari come noi si tratta di un evento attesissimo), abbiamo fatto una chiacchierata con i ragazzi della band. Sono stati toccati temi di diverse profondità, a cominciare dal lavoro d’introspezione che li ha condotti alla maturità in Kilometri. “[In questo tempo]abbiamo studiato la storia degli amari stessi addirittura, cercando di capire quali erano le nostre peculiarità come band e questo in funzione di Kilometri e della sua riuscita”.
Si sono guardati dentro, soprattutto per capire dove andare dopo i dischi fatti: “l’unica cosa che sapevamo era che non volevamo ripeterci e che era importante mettersi in gioco, portarci al limite insomma, per far un disco nuovo nuovo”─il Pasta.
E mentre si guardavano dentro per capire e per capirsi saliva sempre più la voglia di tornare sul palco, far ascoltare le proprie canzoni.
“Tu stai a casa e vai a vedere i concerti degli altri e per un po’ dici “eh bravi però”. Poi dopo un po’ inizi a dirti “cazzo sì, bravi, ma… io voglio suonare” e ogni volta di più. Poi si la condivisione della musica in questi ultimi 2 anni è cambiata radicalmente. Vedendo tutti che escono e suonano ovviamente ti viene una sana invidia e voglia di salire sul palco e ora ne abbiamo a palate”─Dariella.
Nonostante parecchie cose siano cambiate in termini di fruizione della stessa…
“La gente ormai grazie a internet e alla condivisione su fb scopre musica costantemente. Non ha bisogno (perlomeno non come una volta) dei recensori.
Una volta c’era myspace per gli appassionati di musica e la gente che veniva ai concerti era quella di myspace, era gente che leggeva le recensioni. Ora la gente è quella di face book, su facebook c’è pure mio nipote. Su myspace non c’era. Quindi grazie a facebook TUTTI possono incappare in musica nuova ed incuriosirsi e soprattutto scegliere con la propria testa”.
Ascoltando il disco, viene la sensazione che quel motto dell’etichetta, “pop sbagliato”, vada cambiato, che di farraginoso sia rimasto solo l’url del sito. E la conferma è anche nel modo in cui sono nate:
“Queste canzoni stanno su piano voce o chitarra voce. Per noi è un traguardo memorabile”. “Siamo certamente più diretti, era l’obiettivo principale nostro, ma ancora di più di Leo che ha prodotto il disco”. “Non è una sega nostra e basta”. “La quantità di cose che abbiamo cestinato è immane”─il Pasta.
Sono cresciuti, sono cresciuti molto in questi anni ed hanno acquisito una coscienza di sé tale da non temere possibili bocciature da parte della critica com’era avvenuto per lo scorso disco.
“In fin dei conti la stampa ci aveva abituato ad un certo regime e forse ci siamo viziati e davamo troppe cose per scontate. Poi uno è abbastanza maturo anche per capire quando una critica ha un valore e quando invece no. In questo annetto ho visto parecchie reazioni stizzite di musicisti che non accettavano il verdetto di alcune recensioni e devo dire che da fuori non è mai un bello spettacolo. È comprensibilissimo eh, investi fatica e lavoro su un disco e questo non viene capito come vorresti e l’unica cosa che ti viene da dire è “questo non capisce un cazzo”, ma non sta all’artista dirlo”─Dariella.
“Non voglio essere troppo filosofico ora ma… credo che il succo sia che quando fai un disco (quando fai qualunque cosa, in realtà) devi spingere le cose in avanti, sempre e i nostri dischi l’han sempre tentato di fare. Poweri pecca perché non ha quella spinta in avanti, ha solo uno stimolo di “manteniamo la rotta” o “la posizione”. Ci premeva dimostrare a chi dubitava di noi che eravamo una band di 5 elementi, che viveva in tour e suonava in giro e forse questo obbiettivo è andato un po’ a discapito del lato “heartfelt” della nostra musica”.
Una delle cose che colpisce maggiormente è la “semplicità” dei testi, il fatto che i brani siano molto più diretti che in passato.
“Secondo me siamo arrivati a questi testi anche grazie a una ritrovata sinergia fra Dariella e me”. “Ci son stai dei momenti in cui una frase era seguita da quella dell’altro. E di persona questa volta, non solo via chat”. “Vedi, Aspettare Aspetterò, è esemplificativa: ci siam messi proprio lì a tavolino con carta e penna, scrivendo un verso a testa e correggendo quelli dell’altro. Questo per noi è un metodo nuovo di scrivere, per esempio. Sai, venendo dal rap, ognuno scrive le proprie 16 barre e poi guai a chi gliele tocca. In Kilometri abbiamo conosciuto i nostri limiti: Dario ha delle peculiarità quando scrive, io altre e abbiamo tentato di prendere il meglio da entrambi per far dei testi forse meno personali, ma più universali (e quindi alla fine, ANCORA PIU personali)”─il Pasta.
“Abbiamo accantonato un sacco di beat pazzi e ritmiche autoreferenziali in favore delle nostre voci. È che le parole hanno bisogno di spazio e di silenzi per essere vere. Sì ecco qui esce il segreto del disco: per la prima volta le musiche sono scritte (o scavate, scolpite) attorno alle parole”.
Parole che raccontano anche della provincia, un topos affrontato tra gli altri anche dagli 883 che loro stessi hanno coverizzato.
“Beh è un discorso bipolare come la canzone. Cioè culturalmente e antropologicamente l’Italia è sospesa ancora tra provincia e città come immaginari esistenziali. Non è come negli USA( e P lo sa) che la provincia è infinita e sconfinata e non si scappa”. “Spesso ti capita di sentire gente che si lamenta del posto in cui vive, ma tu sai benissimo che chi hai davanti non avrebbe fatto un cm per curiosità nemmeno se cresceva sull’ombelico del mondo. Prova a spiegare la provincia a chi sta in Africa. Prova a spiegare tutto il tuo malessere a qualcuno che non sa neppure cosa sia “il mal di vivere da provincia”. Poi c’è una certa fascinazione che in questo disco trapela verso alcune frasi tipiche dei nostri nonni, quelle frasi che cadono come accette. Quelle frasi di circostanza per intimorire tipo “eh ti ci voleva la guerra a te” io me le son sentite dire spesso da bambino quando facevo i capricci. È qualcosa di visceralmente italiano, sono frasi che contengono la storia di questo paese”─Dariella.
“Siamo un po’ dei vecchi saggi in alcuni punti del disco, ma solo perché scimmiottiamo i veri vecchi saggi”─il Pasta.
Se vi chiedete invece come saranno i live del nuovo disco e come saranno adattati i brani storici, siamo pronti a rispondere anche a questa curiosità:
“abbiamo fatto un gran lavoro di riarrangiamento dei brani vecchi per tentare di fare un live omogeneo, ma al contempo di essere rispettosi col vecchio repertorio anche perché la formazione è cambiata quindi anche lì ci son state delle cose da cambiare. Il disco è stato fatto suonato e registrato con i soliti membri più altri musicisti che si sono uniti a noi per produrlo e arrangiarlo. Vedi Sergio Maggioni degli Esperanza, alcune batterie le ha suonate Enri Colibrio, che però ora si dedicherà ad essere babbo a tempo pieno. Pietro, degli E45 (una promettente band umbra) ha riscritto e risuonato tutti i piani e i rhodes mettendoci un sacco di magia”.
“Ho rubato da ladri migliori di me“. Chi sono gli “altri” per voi?
I ladri siamo noi e sono gli altri, in sequenza perenne e continua. Un serpente che si morde la coda. Diciamo anche che, sebbene sia un testo dal proposito “positivo” rimane sempre un po’ stronzo, come lo siamo noi, alla fine. Anche questo è molto italiano. È tipo ok, mi hai rubato tutto, ma io mi rimbocco le maniche e ricomincio, MA, aspetta che prima te lo rubo di nuovo.
Se vi chiedete cos’è che li spinge anche a suonare, nelle loro vite fitte di altri impegni, vi risponderanno che…
“è un bel gioco e ti tiene sempre vivo, se smetti poi muori dentro. Giri e accomodi la tua vita per poterci giocare meglio e a volte succede che questo gioco ti fa anche stare comodo”.
Ascolta il mixato che gli Amari hanno fatto per noi.
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Foto © Fabio Cussigh