Esce oggi Bloodroot. Giacometti lo racconta come solo lui sa fare. E poi è tutto in streaming, solo per voi che leggete DLSO.
Franchezza.
In primis sarò leale con me stesso.
In secundis sarò leale con OfeliaDorme.
In terzis dirò che il loro nuovo lavoro, Bloodroot (The Prisoner Records – Audioglobe) è una bella produzione, suona bene, loro sono bravi, lei canta da dio, le chitarre… wow che chitarre e le tastiere… too warm.
Tuttavia:
qui si va dall’altra parte del pop, in una direzione più ambiziosa, complessa ed emozionale. Che tradotto in italiano significa che le tracce di tutto l’album si separano dall’ortodossia della canzone e richiedono un totale abbandono, richiedono tempo prima di graffiare e lasciare un segno evidente. Che ritradotto in italiano significa che non ci sono appigli, regole fisse, hook che catturino le orecchie dell’ascoltatore: è uno show di suoni e armonie. Qui l’attitudine è sognante (il lieve riverbero e il charleston nevrotico di Predictble su tutti), celestiale (Magic Ring) e di tanto in tanto malinconica (le basse frequenze del synth di Brussels sono esemplificative). Ne deriva uno spettacolo musicale omogeneo, alle volte fin troppo, che ha un filo conduttore melodico e vagamente romantico.
Ho finito coi paroloni.
Vuoti, inutili, spietati.
Su tutte Otherwise, non ci piove.
D’altro canto è arrivata la primavera.